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La GenAI trasforma il modo di innovare: i 3 step seguiti da Fujitsu



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Introduzione graduale, centralità del feedback, cultura della sperimentazione: in questo modo sono stati sviluppati 4.000 agenti, usati in molte aree aziendale, dalle vendite allo sviluppo. Il racconto di Cristiano Bellucci, Technology Vision Strategist di Fujitsu

Pubblicato il 21 nov 2025



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Nel panorama delle grandi imprese, la gestione dell’Intelligenza Artificiale generativa è spesso disomogenea. Mancano piani strutturati, le policy si limitano a linee guida e i progetti di reale impatto sono ancora pochi. È in questo contesto che si colloca la testimonianza di Cristiano BellucciTechnology Vision Strategist per Fujitsu, che durante un convegno organizzato dal Politecnico di Milano ha descritto come l’adozione della GenAI in azienda possa evolvere da una logica di controllo a un modello di innovazione distribuita.

Nel caso del suo team, Bellucci ha ricordato che la prima fase è stata improntata a un approccio prudente, «top-down, con pochi agenti selezionati per comprendere il funzionamento della tecnologia e i rischi legati a dati e sicurezza». La necessità di preservare la qualità e l’etica dell’IA ha spinto a individuare un gruppo ristretto di utenti, incaricati di testare gli strumenti su attività a basso rischio. Tra i primi casi di sperimentazione, un agente dedicato alle traduzioni multilingue, utile per superare le barriere linguistiche in un’azienda distribuita su oltre cento Paesi.

Questo approccio graduale ha permesso di «mostrare il potenziale della tecnologia senza compromettere la governance dei dati» e di accumulare esperienza concreta sul modo in cui l’IA generativa potesse integrarsi nei flussi di lavoro quotidiani.

La svolta: dalla governance alla sperimentazione libera

Dopo questa prima fase, l’organizzazione ha scelto di aprire la sperimentazione a tutti i team, fornendo strumenti per creare e utilizzare agenti personalizzati. «Abbiamo dato a tutti la possibilità di sviluppare il proprio chatbot o agente AI, adattandolo ai propri bisogni e mercati locali», ha spiegato Bellucci.

Ogni team ha potuto costruire soluzioni su misura: chi lavorava nelle vendite poteva automatizzare la creazione di materiali commerciali, chi si occupava di sviluppo software poteva generare codice o test, chi operava nei mercati locali poteva usare l’agente per analisi specifiche del contesto.

Nel complesso, sono stati sviluppati circa 4.000 agenti, una cifra che Bellucci ha contestualizzato con lucidità: rappresenta il 2-3% di un processo di innovazione interno, in linea con quanto ci si può aspettare da una fase sperimentale aperta. La differenza, rispetto ai classici progetti top-down, è nell’ordine di grandezza: «Nessuna task force avrebbe potuto generare così tanti prototipi».

In questo modo, la GenAI in azienda è passata da strumento di efficienza a piattaforma di abilitazione, in grado di diffondere conoscenza e responsabilità tra funzioni e livelli gerarchici diversi.

La conoscenza come piattaforma

Il passaggio successivo ha riguardato la creazione di un sistema di knowledge management dinamico, pensato per supportare i team commerciali nel raccontare la visione tecnologica dell’azienda ai clienti.

«Uno dei problemi principali dei nostri sales era trovare storie e casi d’uso rilevanti da condividere con i clienti», ha spiegato Bellucci. A partire da un archivio di circa 200 customer stories, il team ha costruito un agente capace di aggregare, sintetizzare e personalizzare i contenuti in base alle richieste specifiche degli utenti. Ogni sales poteva interrogare il sistema per ottenere esempi pertinenti al proprio settore o mercato, generando storie personalizzate a partire da fonti interne.

L’elemento distintivo di questo modello non è tecnologico ma organizzativo: i dati di utilizzo vengono riutilizzati come feedback per aggiornare le priorità strategiche. Se, ad esempio, la maggior parte delle richieste riguarda la cyber security, quell’ambito diventa una priorità per la visione tecnologica successiva. Si crea così un loop di apprendimento continuo, dove chi utilizza l’agente contribuisce indirettamente a orientare la strategia dell’azienda.

Questa dinamica rispecchia i principi del Platform Thinking, dove l’obiettivo non è fornire un prodotto finito, ma orchestrare un ecosistema di interazioni tra chi produce contenuti e chi li utilizza. In questo caso, l’IA non serve solo a cercare informazioni, ma a generare valore condiviso e a ridurre la distanza tra funzioni aziendali.

GenAI e open innovation: il valore della collaborazione

L’esperienza raccontata da Bellucci mostra come la GenAI in azienda possa diventare un catalizzatore di collaborazione, non solo un acceleratore di produttività. La possibilità di sperimentare liberamente, con strumenti condivisi e linee guida comuni, ha favorito la nascita di un ecosistema interno di innovazione basato sul principio «enable, don’t impose»: fornire strumenti e metodi, senza imporre un’unica direzione.

Questo approccio ha generato un circolo virtuoso di scambio e apprendimento: gli utenti che sviluppano nuovi agenti forniscono feedback al team di ricerca e sviluppo, che a sua volta integra le osservazioni per migliorare gli strumenti e proporre nuove funzionalità. In parallelo, la collaborazione con partner tecnologici e startup amplia la capacità di integrare soluzioni e sperimentare nuovi modelli di business.

Il risultato, secondo Bellucci, è stato tangibile: l’utilizzo degli agenti ha contribuito alla creazione di circa 150 nuove opportunità commerciali, per un valore stimato di 500 milioni di euro in nuove iniziative e collaborazioni interne ed esterne.

Ciò che emerge è un modello scalabile di innovazione distribuita, dove ogni team diventa attore attivo nella costruzione di soluzioni e nella definizione della direzione strategica.

Le lezioni di metodo per i leader aziendali: i 3 passi da seguire

Dall’esperienza di Bellucci si possono trarre alcune lezioni utili per chi guida processi di adozione della GenAI in azienda. La prima è l’importanza di introdurre la tecnologia in modo graduale, consentendo ai team di familiarizzare con gli strumenti e valutarne l’impatto reale prima di estendere l’uso.

La seconda riguarda la centralità del feedback: la GenAI può funzionare come un sistema di ascolto distribuito, capace di far emergere i bisogni delle persone e dei clienti in tempo reale.

Infine, la terza lezione riguarda la cultura della sperimentazione. Bellucci lo riassume con un dato significativo: ogni mese gli agenti creati vengono utilizzati da un numero di persone pari a «uno stadio di San Siro pieno». Circa 22.000 interazioni mensili provengono dalle aree di sviluppo software e oltre 10.000 dai team commerciali. Numeri che dimostrano come la tecnologia, quando abilitante, possa davvero diffondersi su larga scala senza necessità di imposizione gerarchica.

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