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Il disincanto dell’AI: perché non basta “comprare” un algoritmo



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La GenAI ha acceso grandi aspettative, ma molte aziende si trovano oggi a fare i conti con risultati inferiori al previsto. Il problema non risiede nella tecnologia, ma come viene implementata. L’AI non serve a a “fare di più con meno”, ma a fare diversamente. Gli errori ricorrenti secondo Gartner

Pubblicato il 21 ago 2025



bolla intelligenza artificiale

Il 2023 è stato l’anno dell’entusiasmo incontrollato per l’intelligenza artificiale generativa. Iniziative, demo spettacolari e dichiarazioni ambiziose da parte di leader tecnologici hanno spinto molte organizzazioni a fare investimenti consistenti in soluzioni AI, spesso estendendo licenze enterprise di strumenti generici come i modelli linguistici. Tuttavia, nel 2025 molte di queste aziende stanno affrontando una realtà più complessa.

Secondo Emily Rose McRae, Senior Director Analyst di Gartner, intervistata nel podcast ThinkCast, la traiettoria seguita dall’adozione aziendale dell’AI ricorda fedelmente quella delineata nel Gartner Hype Cycle: dal “picco delle aspettative gonfiate” si sta rapidamente scivolando verso il “baratro della disillusione”. La frustrazione cresce, perché i ritorni promessi non si sono materializzati. “Le persone non stanno vedendo i ritorni attesi”, afferma McRae.

Perché l’AI non genera ROI se non è integrata

Uno dei problemi principali è che molte aziende hanno acquistato strumenti AI senza un piano chiaro di integrazione nei processi aziendali. L’approccio è stato spesso top-down: si è adottata una piattaforma generica e si è ipotizzato che l’organizzazione l’avrebbe utilizzata in modo produttivo, per osmosi o con una semplice formazione.

Tuttavia, come sottolinea McRae, “fornire accesso a uno strumento generico non porterà mai ai risultati sperati”, a meno che non venga ripensato il modo stesso in cui il lavoro viene svolto. Anche quando vengono proposti casi d’uso, spesso si tratta di applicazioni marginali, come scrivere email, che non incidono sulla produttività in modo significativo.

Inoltre, l’adozione è rallentata dal fatto che molti strumenti AI non sono integrati nei workflow quotidiani, costringendo i lavoratori a uscire dai loro ambienti operativi per utilizzarli. Il risultato è che, dopo un picco iniziale di interesse, l’utilizzo degli strumenti AI cala drasticamente.

Il mito del tool “magico” per tutti

L’adozione crolla: dati e motivi

La curva dell’adozione tipica, raccontata da Gartner, mostra un primo picco fino al 90% subito dopo il lancio di un nuovo strumento AI. Ma questa curva crolla rapidamente a livelli compresi tra il 20% e il 30%. Non perché i dipendenti non vogliano usare l’AI, ma perché l’esperienza d’uso non è all’altezza delle aspettative.

“Se ti dicono che è un sistema di linguaggio naturale, ti aspetti che sia intuitivo. Ma non lo è. Richiede iterazione, tentativi, tempo. E nessuno ha tempo da dedicare alla sperimentazione in mezzo ai task giornalieri”, chiarisce McRae.

In assenza di tempo dedicato alla pratica e di use case veramente rilevanti, l’AI finisce per essere percepita come un carico aggiuntivo, non come un supporto.

Il vero cambiamento: riprogettare flussi e ruoli

Secondo Gartner, è qui che si manifesta la vera bolla dell’intelligenza artificiale: non nella tecnologia, ma nelle aspettative irrealistiche su cosa può fare, da sola. Il vero valore arriva solo quando si decide di ridefinire attivamente ruoli e processi in funzione dell’AI. L’adozione non deve essere opzionale o collaterale: deve essere strutturale.

Come ha spiegato McRae, le aziende che ottengono un ritorno reale sono quelle che includono l’AI nel workflow, rendendola parte integrante dei compiti quotidiani. Ciò implica introdurre nuove figure professionali, modificare le mansioni esistenti e accettare che l’AI non serve a “fare di più con meno”, ma a fare diversamente.

Prompt engineer, validatori, decision review

Un’adozione strategica dell’AI richiede la creazione di ruoli come i prompt engineer, addetti alla formulazione di richieste efficaci; i validatori, responsabili del controllo qualità delle risposte; i supervisori di processo che analizzano le decisioni automatizzate. In ambiti regolati o a rischio elevato (come la sanità o l’ingegneria civile), questi ruoli diventano ancora più critici.

Il caso citato di un gruppo di architetti responsabili della progettazione di ponti è emblematico: rifiutavano di usare l’AI perché sarebbero stati legalmente responsabili di eventuali errori. In questi scenari, forzare l’adozione può non solo fallire, ma esporre l’azienda a rischi legali e reputazionali.

Errori comuni e come evitarli

Uno degli errori più diffusi è presumere che l’AI generativa rappresenti un vantaggio competitivo immediato. Ma come ha sottolineato McRae, non esiste un vero “vantaggio del first mover” in questo campo. Non è solo legittimo, ma spesso consigliabile aspettare, osservare e capire quali soluzioni si dimostrano veramente efficaci nel medio periodo.

Un altro errore è iniziare dal tool e non dal problema. Gartner consiglia un approccio inverso: convocare i team e chiedere cosa rende il lavoro lento, frustrante, inefficiente. Solo dopo si può valutare se una soluzione tecnologica (AI o altro) possa risolvere quei punti. Questo è il modo più efficace per assicurarsi che l’adozione sia percepita come utile e non imposta.

In sintesi, il cuore del problema non è tecnologico, ma organizzativo. La bolla dell’intelligenza artificiale non esplode per limiti dell’AI in sé, ma per una cattiva lettura delle condizioni necessarie affinché funzioni davvero. Serve tempo, risorse e soprattutto la volontà di cambiare in profondità il modo in cui si lavora.

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