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Sovranità dei dati e cloud ibrido: la nuova architettura dell’AI



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Il modello del cloud ibrido sta diventando la spina dorsale dell’AI. Jason Hardy CTO di Hitachi Vantara evidenzia come la gestione dei costi, la sovranità dei dati e le normative spingano le aziende a bilanciare cloud pubblico e infrastrutture on-premises

Pubblicato il 30 set 2025



cloudsovrano

L’adozione dell’intelligenza artificiale su larga scala ha trasformato il ruolo del cloud. Quello che inizialmente era percepito come un ambiente di sperimentazione è diventato un tassello essenziale per sviluppare modelli, gestire dataset e scalare i progetti.

Tuttavia, la promessa del “tutto-cloud” ha mostrato limiti di sostenibilità economica e di governance. In un’intervista rilasciata al podcast AI in Business di Emerj AI Research, Jason Hardy, Chief Technology Officer di Hitachi Vantara, ha descritto come le aziende stiano riscoprendo l’importanza di un approccio ibrido e di una gestione attenta della sovranità dei dati.

Dal tutto-cloud al ritorno on-premises

Negli anni scorsi, l’approdo massiccio al cloud pubblico sembrava inevitabile. Hardy ha ricordato che «tutti sono corsi al cloud perché permette almeno di sperimentare questa tecnologia». L’agilità offerta dalle piattaforme di hyperscaler come AWS o Google Cloud ha favorito l’avvio di progetti di AI, in particolare nei settori meno regolamentati e nei cosiddetti casi d’uso orizzontali, come le risorse umane o la contabilità.

Con il tempo, però, il quadro si è complicato. I costi del cloud crescono proporzionalmente all’uso e, come osserva Hardy, «diventa molto costoso quando i tuoi utenti iniziano a interfacciarsi con esso perché non puoi dire ai tuoi utenti di smettere di usarlo». La spesa può rapidamente superare i benefici se non viene controllata. Per questo molte imprese stanno riportando parte dei carichi di lavoro nei propri data center, in modo da avere un costo fisso e più prevedibile.

Il cloud ibrido come backbone dell’AI

L’alternativa che sta emergendo non è un ritorno totale all’on-premises, ma un equilibrio. Hardy spiega che le aziende usano il data center «perché è un costo finito» e riservano il cloud «per i burst o per la bassa priorità». Il modello del cloud ibrido diventa così la spina dorsale dell’AI aziendale, consentendo di combinare flessibilità e controllo.

La collocazione dei carichi di lavoro non è casuale. Le attività che richiedono tempi di risposta rapidi, come la manifattura avanzata o la gestione di reti energetiche, beneficiano della prossimità dei dati garantita dall’infrastruttura on-premises. «Questa è una tecnologia che ha bisogno di quella capacità in tempo reale. Tornare al cloud è un processo troppo lento per molte di queste operazioni» ha chiarito Hardy.

La dimensione geopolitica della sovranità dei dati

Il tema del cloud non riguarda solo i bilanci aziendali. Sempre più spesso entra in gioco la variabile politica e culturale della sovranità dei dati. Hardy ha osservato che «ci sono organizzazioni e governi che hanno paura di usare risorse basate negli Stati Uniti o questi hyperscaler come AWS, GCP».

In molte aree del mondo si sta affermando la richiesta di piattaforme locali, capaci di garantire che i dati restino all’interno dei confini nazionali. «La nozione dell’AI sovrana o delle piattaforme cloud sovrane è vista come una missione critica» ha spiegato Hardy, sottolineando come i governi considerino i dati e l’infrastruttura AI asset strategici.

Tra gli esempi citati ci sono il Medio Oriente e il Giappone, dove gli investimenti sostenuti direttamente dalle autorità pubbliche stanno creando infrastrutture dedicate all’AI in grado di offrire funzionalità simili a quelle del cloud pubblico, ma con un controllo pienamente locale. Hardy definisce questo fenomeno «rimpatrio quasi a steroidi», a indicare l’intensità con cui alcuni mercati stanno riportando capacità di calcolo entro i propri confini.

I settori regolamentati e le barriere aggiuntive

Le difficoltà di gestione aumentano in comparti ad alta intensità di dati e fortemente regolamentati, come i servizi finanziari e le scienze della vita. Hardy sottolinea che «i requisiti normativi stanno diventando molto stringenti» e che non esiste una cornice univoca. Ogni giurisdizione introduce norme proprie, spesso focalizzate sulla privacy, ma con approcci differenti.

Questa frammentazione normativa crea incertezza. Un’azienda che serve clienti europei deve conformarsi all’AI Act dell’Unione Europea, ma chi opera anche in California deve affrontare regole diverse. Secondo Hardy, «inizia a diventare davvero disorientante» e molte organizzazioni preferiscono eseguire i propri progetti in infrastrutture controllate direttamente, riducendo l’esposizione al rischio.

Il risultato è una maggiore attenzione alla localizzazione dei dati e alla scelta di modelli ibridi che consentano di rispettare i requisiti di compliance senza rinunciare alla scalabilità. Per queste industrie, la sovranità dei dati non è solo una questione politica, ma un prerequisito per poter operare legalmente.

Una scelta strategica più che tecnica

Dall’intervista con Hardy emerge un quadro in cui il cloud ibrido non è un compromesso temporaneo, ma un’architettura pensata per bilanciare esigenze diverse: costi, performance, compliance e geopolitica. L’evoluzione del dibattito sulla sovranità dei dati mostra che la scelta tra cloud pubblico e infrastrutture on-premises va oltre la tecnologia e coinvolge logiche di governance aziendale e nazionale.

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