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Quando la sovranità del dato diventa una scelta strategica: l’esperienza di Subito



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Per la società, sovranità digitale non è solo una questione geografica, ma un equilibrio tra controllo, trasparenza e responsabilità. E la complessità del cloud non si risolve in una singola scelta infrastrutturale, ma in un processo di decisioni ricorrenti

Pubblicato il 20 ott 2025



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L’evoluzione delle piattaforme digitali è ormai una costante strutturale del mercato, più che un’eccezione. La capacità di trasformarsi velocemente, scegliendo di volta in volta se ricostruire, internalizzare o esternalizzare parti della propria infrastruttura tecnologica, è diventata importante misura di resilienza per un’azienda digitale.

A raccontare questa dinamica è stato Fausto Dassenno, Chief Product and Technology Officer di Subito, intervenuto al convegno Il Cloud tra AI e sovranità organizzato dal Politecnico di Milano. Nel suo intervento, Dassenno ha illustrato come l’organizzazione gestisca oggi la complessità del cloud e il tema sempre più centrale della sovranità del dato.

La trasformazione continua del digitale

Per Dassenno, l’idea di trasformazione digitale non è un progetto, ma una condizione permanente. «Le aziende digitali si trasformano quindici volte in un anno», osserva, sottolineando come anche realtà già nate in cloud debbano affrontare cicli di rinnovamento continui, adattandosi a nuove architetture, provider o esigenze di business. Subito rappresenta un caso emblematico: nata come startup digitale, cresciuta all’interno del gruppo norvegese Schibsted e oggi parte del gruppo internazionale Adevinta, si è trovata più volte a dover ripensare la propria infrastruttura in seguito a cambi di governance e acquisizioni.

Ogni passaggio, spiega Dassenno, ha comportato un riesame delle scelte cloud e dei criteri di migrazione delle piattaforme.

Migrazioni e strategie di equilibrio

Quando si parla di strategie di migrazione, Subito adotta un approccio strutturato: valutare se mantenere in casa una componente, ricostruirla da zero o affidarla a un fornitore esterno. Ogni opzione comporta vantaggi e criticità. Dassenno ricorda che gli ingegneri tendono naturalmente alla ricostruzione: «Se mi chiedono se una piattaforma conviene comprarla o rifarla, la risposta istintiva è “la faccio io”». Ma ricostruire comporta tempi lunghi e costi elevati.

L’internalizzazione di un servizio, d’altra parte, consente di controllare la sovranità del dato, decidendo dove i dati risiedono e come vengono gestiti. Tuttavia, ogni passaggio di questo tipo deve essere ponderato in termini di compatibilità tecnologica, sicurezza e costi di manutenzione. Dassenno spiega come in alcuni casi sia stato necessario spostare parti della piattaforma dati da un provider a un altro, valutando quale fosse la direzione più efficiente e sostenibile tra mantenere internamente una funzionalità o delegarla.

Quando invece si opta per l’esternalizzazione, i vantaggi economici immediati si accompagnano al rischio di dipendenza da un vendor. «Si trasferiscono costi fissi in costi variabili, ma si crea anche un legame stretto con il fornitore», nota Dassenno. Un cambiamento contrattuale o un aumento di tariffa può diventare un problema strutturale: «Quando un vendor aumenta i prezzi del 30%, hai costruito un’infrastruttura su misura per lui e non puoi semplicemente cambiare direzione».

Questo fenomeno, il cosiddetto vendor lock-in, rappresenta una delle sfide principali per chi gestisce infrastrutture digitali su larga scala. Ecco perché ogni decisione tra rebuild e outsourcing implica un’analisi non solo tecnica ma anche economica e strategica.

Sovranità del dato e scelte infrastrutturali

Il tema della sovranità del dato attraversa tutte le scelte tecnologiche di Subito. Dassenno sottolinea come i fornitori di servizi cloud stiano sempre più proponendo garanzie legate alla localizzazione fisica dei dati. «Ci sono provider che ci hanno contattato dicendo: se lavorate con noi, i vostri dati resteranno solo in Francia o solo in Italia, e non saranno mai trasferiti altrove», spiega.

Per una realtà come Subito, che utilizza principalmente Amazon Web Services e in parte Google Cloud Platform, il tema è tutt’altro che teorico. I server europei, spiega, si trovano in Paesi come Irlanda o Germania, ma la certezza assoluta della collocazione fisica del dato resta un’illusione. I contratti possono cambiare, i data center possono essere spostati o replicati, e le garanzie legali non sempre bastano.

La sovranità digitale, quindi, non è solo una questione geografica, ma un equilibrio tra controllo, trasparenza e responsabilità. Significa scegliere consapevolmente dove e come gestire i propri dati, valutando non solo i requisiti di compliance, ma anche la resilienza operativa. Subito adotta un approccio che combina multi-cloud e governance dei dati, cercando di minimizzare la dipendenza da singoli operatori.

L’AI generativa come nuova leva del cloud

L’intelligenza artificiale, e in particolare la Generative AI, è ormai integrata nei processi di Subito. Dassenno spiega che viene utilizzata sia per l’esperienza utente, tramite chatbot capaci di rispondere in linguaggio naturale, sia per supportare i team di sviluppo. «La usiamo per la parte di developer e per quella dei clienti», afferma, evidenziando come l’AI stia diventando parte integrante dell’ecosistema cloud.

L’introduzione di questi strumenti comporta però nuove complessità nella gestione del dato. La generative AI necessita di accesso a grandi quantità di informazioni per essere efficace, ma questo amplifica i temi di sicurezza, privacy e tracciabilità. Le aziende devono quindi bilanciare l’efficienza operativa della GenAI con un’attenta governance dei modelli e dei dataset.

Nel caso di Subito, l’AI è un banco di prova per testare la robustezza delle proprie infrastrutture. Ogni nuovo modello o servizio basato su AI diventa un’occasione per ripensare dove i dati vengono archiviati, come vengono anonimizzati e quali livelli di accesso vengono concessi ai sistemi esterni.

Un ciclo continuo di decisioni

Per Dassenno, la complessità del cloud non si risolve in una singola scelta infrastrutturale, ma in un processo di decisioni ricorrenti che si ripetono con frequenza quasi settimanale. «Nel mondo digitale, ogni settimana ci chiediamo: quella cosa come la facciamo?», racconta, a proposito della necessità di rivedere continuamente la gestione di funzioni come la moderazione, le immagini o le notifiche push. Ogni componente può infatti richiedere, in momenti diversi, di essere ricostruita, esternalizzata o mantenuta internamente, a seconda dell’evoluzione tecnologica o dei vincoli di sicurezza.

Questo è un modello operativo imposto dalla natura stessa del digitale: nessuna configurazione resta stabile a lungo e ogni aggiornamento diventa l’occasione per riportare equilibrio tra innovazione, controllo e costi. Anche una semplice revisione tecnica — spiega Dassenno — può diventare un modo per correggere decisioni precedenti o ridefinire la gestione dei dati in chiave di sovranità e conformità.

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