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Come superare la resistenza al cambiamento nei progetti ERP



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La resistenza al cambiamento è tra le principali cause di insuccesso dei progetti di trasformazione digitale, soprattutto quando sono coinvolti sistemi che rappresentano l’ossatura dell’azienda, come i progetti ERP. Vediamo come affrontarla con metodo e gli strumenti giusti

Pubblicato il 3 nov 2025


SAEP Point of View

progetti ERP

Un tema che ritorna puntualmente quando si racconta o si vive un progetto di trasformazione digitale è il cambiamento profondo che questo porta all’interno delle organizzazioni a livello di processi, abitudini, attività e responsabilità.

Non sorprende che la resistenza al cambiamento sia una delle principali cause di insuccesso dei progetti di digitalizzazione. Le statistiche, pur variabili, parlano di percentuali di fallimento che raggiungono – e talvolta superano – il 70%, e tra i fattori ricorrenti spicca l’assenza di una gestione strutturata del cambiamento, perché realizzare una trasformazione senza accompagnare le persone significa introdurre soluzioni che verranno adottate solo parzialmente.

Ma perché accade tutto questo nelle impese italiane, e soprattutto nei progetti ERP? Cosa alimenta davvero la difficoltà del cambiamento? E, soprattutto, cosa può fare un’azienda per affrontarla in modo costruttivo, senza banalizzarla?

La gestione del cambiamento alla base di ogni progetto ERP

Per comprendere la natura della resistenza al cambiamento nei progetti di trasformazione digitale, abbiamo interpellato Laura Rusconi, Membro del CDA e Project Manager ERP del Gruppo SAEP, che da oltre 40 anni affianca le imprese nei processi di digitalizzazione e offre una Suite ERP pensata per rispondere alle esigenze della media e grande impresa italiana.  

I progetti ERP, in particolare, segnano solitamente un cambiamento profondo e trasversale perché impattano il cuore operativo dell’organizzazione e per questo sono anche tra quelli che generano le maggiori resistenze.

Il cambiamento – ci spiega Laura Rusconi – genera resistenza per diversi motivi. Innanzitutto, chiedere alle persone di uscire dalla loro comfort zone significa chiedere loro uno sforzo; in più, ogni progetto di trasformazione porta attività aggiuntive e viene spesso calato dall’alto, andando a gravare su risorse che hanno già il tempo assorbito dalle attività quotidiane”. Per quanto l’attitudine personale sia importante, ci sono quindi anche fattori oggettivi di cui tener conto, perché ogni intervento di digitalizzazione implica test, formazione, allineamenti, documentazione e altre attività che richiedono tempo, energie e attenzione da parte di chi tempo ne ha poco.

Quando il progetto riguarda l’ERP, molte aziende colgono l’occasione – giustamente – per mettere mano ai processi interni, che nel tempo si sono stratificati fino a perdere efficienza. Ma proprio qui si apre un altro fronte di resistenza: anche i flussi più macchinosi, se ripetuti per anni, diventano familiari e vengono eseguiti alla perfezione da chi li conosce. Il problema è che risultano spesso opachi o incomprensibili per chi arriva dopo, e per questo vanno cambiati, rompendo equilibri consolidati.

Anche la tecnologia può fare la differenza

Tutte le volte che si affronta il tema del cambiamento ci si riferisce a un ecosistema di attività che comprende analisi, riprogettazione dei processi, rilascio graduale e progressivo della soluzione, formazione e molto altro. Ma in un progetto ERP, anche le caratteristiche della tecnologia che viene introdotta hanno un impatto sul percorso di cambiamento.

Un tempo – ci spiega Rusconi – molte aziende strutturate sviluppavano internamente il proprio gestionale grazie a reparti IT solidi e a competenze verticali diffuse. Questo ha portato alla nascita di soluzioni iper-personalizzate, costruite su misura per il contesto specifico. Ma nel tempo le competenze interne si sono ridotte, molte aziende hanno esternalizzato l’IT, e oggi ci troviamo di fronte a sistemi difficili da aggiornare e modernizzare. Il risultato è che l’azienda evolve, ma lo strumento gestionale resta fermo a uno stadio superato, con rischi anche in termini di sicurezza e scalabilità”.

In questo scenario, l’ERP di SAEP si distingue proprio per la sua capacità di creare un equilibrio tra approccio standardizzato – costruito sulle best practice acquisite in decine di progetti – e una forte capacità di parametrizzazione, che consente di adattare ogni area del gestionale alle esigenze specifiche dell’azienda.

In alcuni casi – osserva Rusconi – il passaggio da una soluzione completamente custom a un ERP standard genera timori, ma c’è spesso un equivoco di fondo. La nostra, infatti, non è una soluzione rigida, ma una base solida e collaudata che può essere modellata con estrema precisione. In questo modo, siamo in grado di unire i vantaggi di tempi rapidi di implementazione, costi adeguati e costanza di aggiornamento con una flessibilità che può assecondare le specificità di tutti i nostri clienti. A volte le aziende semplicemente non sanno che esistono soluzioni di questo tipo e, per paura di perdere controllo, scelgono di restare su sistemi obsoleti, esponendosi ai veri rischi”.

Ma in che modo una soluzione come quella di SAEP semplifica il cambiamento? In primis, perché supporta l’evoluzione dei processi aziendali verso best practice consolidate, e al tempo stesso la personalizzazione riduce la percezione di discontinuità e di perdita di controllo, favorendo il cambiamento insito in ogni progetto digitale.

Il metodo vincente SAEP: guida alla trasformazione senza traumi

Al di là delle caratteristiche intrinseche della soluzione tecnologica, serve un approccio professionale per gestire il cambiamento, un approccio che tenga conto delle persone, della cultura aziendale e dell’organizzazione nel suo complesso.

Non banalizzare il cambiamento e centralizzare le persone

L’approccio di SAEP si fonda su una visione molto concreta: non si può pensare di rivoluzionare un’azienda dall’oggi al domani. “Per prima cosa – sottolinea Laura Rusconi – il cambiamento non va mai banalizzato. A volte il management aziendale pensa che soluzioni come la nostra, basate su una piattaforma standard, non richiedano una profonda gestione del cambiamento. Ma in realtà non è così, perché non esistono soluzioni preconfezionate. Tutto va gestito con i tempi giusti, i budget adeguati e un approccio progettuale solido, che preveda il coinvolgimento delle persone corrette, nel momento giusto”.

Proprio la dimensione umana è uno dei pilastri dell’approccio SAEP. Le persone vengono coinvolte fin dalle fasi iniziali, a partire dall’analisi dei processi fino alla loro riprogettazione, all’implementazione e al test della soluzione. “Una tecnica vincente – spiega Rusconi – è senza dubbio quella di portare la persona al centro. Le aziende lo stanno capendo sempre di più: rendere le persone partecipi sin dal primo giorno, farle sentire parte del cambiamento e investire sulla loro formazione è essenziale per il risultato finale. E oggi, fortunatamente, i nostri interlocutori ne riconoscono sempre di più il valore”.

Al solito, tutto parte dal management. Se la leadership sottovaluta la complessità della trasformazione, è facile generare aspettative errate, sottostimare gli sforzi richiesti o, peggio ancora, non sostenere adeguatamente il percorso di cambiamento. E questo può compromettere l’intero progetto.

Un metodo “standard” ma adattabile, proprio come l’ERP

Alla base di tutto, però, c’è un metodo. Un metodo che, proprio come l’ERP sviluppato da SAEP, parte da una base solida ma si adatta alla realtà specifica di ogni azienda. Analisi dei processi, individuazione delle aree critiche, riprogettazione, implementazione graduale della soluzione, formazione, test, go-live e monitoraggio sono tutte fasi di un percorso strutturato, ma modellabile di volta in volta in base al contesto, agli obiettivi e al grado di maturità organizzativa.

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