Questo articolo è il settimo contributo di una piccola serie, realizzata da docenti e professionisti, sul tema della gestione del cambiamento tecnologico in ambito industriale, combinando conoscenze teoriche ed esperienze vissute sul campo.
Nei precedenti articoli sono stati discussi:
- Il ruolo della leadership e come svilupparla per ottenere successo e autorevolezza nei processi di cambiamento
Prima siamo noi a dare forma alle nostre abitazioni e poi sono le nostre abitazioni che danno forma a noi.
WINSTON CHURCHILL
Indice degli argomenti
La consapevolezza
Il modello di ADKAR si compone delle 5 fasi richiamate dal suo acronimo, di seguito indicate:
| Lettera | Elemento | Significato |
| A | Awareness | Consapevolezza del bisogno di cambiare |
| D | Desire | Desiderio di partecipare e sostenere il cambiamento |
| K | Knowledge | Conoscenza su come cambiare |
| A | Ability | Capacità di implementare le abilità e i comportamenti richiesti |
| R | Reinforcement | Rinforzo per sostenere il cambiamento |
In questo articolo presentiamo la prima fase del modello di ADKAR: A (awareness) – consapevolezza.
“La consapevolezza (Awareness) è la comprensione da parte di una persona del perché un cambiamento sia necessario, questo include anche comprendere il rischio o l’impatto che deriverebbe dal non attuarlo. Questa fase iniziale del processo di cambiamento è centrata quindi sulla creazione di una diffusa comprensione della necessità del cambiamento. È importante assicurarsi che le persone comprendano cosa stia avvenendo e perché stia avvenendo. Costruire la consapevolezza richiede la conoscenza dei fattori interni ed esterni che hanno creato il bisogno di cambiare.
Il primo elemento del Modello ADKAR è definito quindi in modo più completo come “consapevolezza del bisogno di cambiare“, non semplicemente “consapevolezza che un cambiamento sta avvenendo”. Sapere che un cambiamento sta avvenendo non è infatti la stessa cosa del sapere quale cambiamento sta accadendo e soprattutto perché. Questa è una distinzione importante: conoscere la ragione per cui il cambiamento deve avvenire rende il cambiamento più facile da attuare.
Soddisfare il bisogno umano di sapere “perché” è un fattore critico nella gestione e nell’abilitazione del cambiamento. Cambiamo per una ragione. Occorre quindi dare risposta a tre domande fondamentali:
- Quale è la natura del cambiamento?
- Perché è necessario il cambiamento?
- Quale è il rischio che si correrebbe non cambiando?
Se non si fosse in grado di rispondere a ciascuna di queste domande per costruire la consapevolezza, si potrebbe aver creato solo l’aspettativa che il cambiamento stia arrivando, ma non la consapevolezza del bisogno di cambiare. In questo caso, il cambiamento non sarebbe stato chiaramente definito e la comprensione condivisa delle ragioni del cambiamento non sarebbe stata stabilita. Entrambe le situazioni possono creare una significativa barriera all’adozione, perché il Modello ADKAR è sequenziale e cumulativo e la consapevolezza è il primo traguardo di ADKAR.
Quando una persona è in grado di dire: “Io capisco la natura del cambiamento e perché questo cambiamento è necessario“, ha raggiunto con successo la sua consapevolezza.
Il macigno della cultura
Nei contesti industriali dove l’introduzione di nuove tecnologie dall’automazione all’intelligenza artificiale è rapida e costante, la vera sfida non è l’innovazione in sé, ma la capacità dell’organizzazione di assorbire e integrare questi cambiamenti. Questo processo è paragonabile al tentativo di spostare un macigno: la cultura organizzativa esistente.
Perché dunque muovere questo “macigno”? Perché restare fermi significa rischiare di non essere più competitivi, di non riuscire a valorizzare appieno le potenzialità delle nuove tecnologie e di lasciare che l’inerzia culturale diventi un freno all’evoluzione aziendale. Il cambiamento culturale è necessario per la sopravvivenza e la crescita: per garantire che le persone, i processi e i valori dell’organizzazione restino allineati a un contesto industriale che cambia velocemente.
Il concetto di “spostare il macigno” si concentra su due elementi fondamentali per il successo dell’integrazione tecnologica: la chiarezza della direzione e la forza coordinata dell’intera organizzazione. Prima di applicare qualsiasi forza, è cruciale definire chiaramente la destinazione. In un contesto industriale, ciò significa articolare come la nuova tecnologia trasformerà ruoli, processi e valori. Questa direzione deve essere orientata da un perché condiviso: migliorare la sicurezza, accrescere l’efficienza, garantire la sostenibilità o preservare la competitività.
Se non si è chiari su dove e perché la cultura deve muoversi, l’energia spesa sarà dispersa. Spostare un macigno così pesante richiede coordinamento e allineamento. Se all’interno dell’organizzazione le persone spingono in direzioni opposte per attaccamento ai vecchi metodi, diffidenza verso il nuovo o semplicemente per mancanza di comprensione del senso del cambiamento, il risultato è inevitabilmente stanchezza, frustrazione e perdita di determinazione.
L’innovazione tecnologica fallisce spesso non per un difetto della tecnologia, ma per una mancanza di allineamento umano e culturale. È quindi fondamentale che ciascuno, dal livello operativo a quello esecutivo, comprenda non solo cosa cambiare ma perché quel cambiamento è vitale per la sopravvivenza e la crescita comune.
In sintesi, spostare il macigno non è un mero atto fisico ma un atto decisionale e valoriale: nasce dalla consapevolezza del motivo profondo per cui cambiare sia necessario. Sapere da dove iniziare, stabilire la direzione e assicurare che la spinta sia univoca e determinata sono le condizioni per mettere in moto il complesso ma indispensabile processo di evoluzione culturale imposto dall’innovazione tecnologica.
La consapevolezza, infatti, nasce e si diffonde attraverso una comunicazione chiara e autentica: senza un dialogo trasparente ed empatico, il “perché” del cambiamento rischia di non essere compreso e interiorizzato.
La comunicazione empatica
Il successo nell’era della trasformazione digitale, specialmente in contesti industriali ad alta velocità, non si misura solo in algoritmi e automazione, è profondamente legato alla comunicazione empatica, il motore umano del cambiamento culturale necessario per supportare l’innovazione tecnologica.
La comunicazione empatica è un approccio alla comunicazione che unisce empatia, consapevolezza e intenzione positiva. Significa ascoltare per comprendere, non solo per rispondere; riconoscere le emozioni proprie e altrui; scegliere parole, toni e gesti che favoriscano fiducia, collaborazione e senso di sicurezza psicologica. In sintesi, comunicare in modo empatica significa mettere la relazione al centro anche quando si affrontano sfide tecniche o organizzative complesse.
Di fronte all’introduzione di nuovi sistemi, macchinari o processi digitali, la chiave per ottenere i risultati desiderati e accelerare l’adozione delle nuove tecnologie è preparare le persone al cambiamento, non solo coinvolgerle. Questa preparazione passa attraverso una comunicazione che tenga conto non solo degli aspetti razionali, ma anche di quelli emotivi: comprendere cosa le persone provano di fronte al cambiamento è la premessa per accompagnarle con efficacia.
In un ambiente industriale frenetico e spesso stressante, dove i ritmi dettati dalla tecnologia possono essere esigenti, la comunicazione empatica offre strumenti concreti per gestire la tensione e favorire l’apprendimento. Le sue modalità chiave: rilassarsi, essere presenti, ascoltare profondamente, osservare i segnali non verbali, esprimere gratitudine e parlare con calore, sono pratiche quotidiane che aiutano a ridurre lo stress, migliorare la comprensione e costruire fiducia reciproca.
Applicare questi principi trasforma la comunicazione empatica da una semplice abilità relazionale a una competenza strategica. Essa consente di tradurre i valori personali in comportamenti organizzativi concreti, migliorando la produttività, riducendo i conflitti e assicurando che, anche nel pieno del cambiamento tecnologico, l’elemento umano resti il vero fulcro del successo aziendale.
Lo storytelling mirato
La vera sfida del cambiamento non risiede tanto nei nuovi strumenti o processi, quanto nella transizione interiore delle persone che richiede l’adesione emotiva e cognitiva dei dipendenti al nuovo modo di pensare e di agire.
Questa è la missione dello storytelling mirato: utilizzare il potere delle storie per favorire l’allineamento culturale e accelerare l’adozione del cambiamento. Lo storytelling mirato non è solo una tecnica di comunicazione, è un linguaggio strategico che collega la visione del futuro (il perché del cambiamento) con i comportamenti concreti che l’organizzazione si aspetta di vedere emergere.
Le storie se ben costruite e allineate alla visione, ai valori aziendali e agli obiettivi del progetto di trasformazione, rendono la trasformazione comprensibile, vicina e significativa per chi la deve vivere.
Raccontando esperienze reali di altre realtà simili alla propria che hanno affrontato cambiamenti organizzativi, i leader possono influenzare la motivazione del gruppo. Ad esempio, mostrando come aziende con caratteristiche simili alle proprie abbiano fallito perché non hanno aggiornato i loro processi o adottato nuovi approcci, si rende il cambiamento desiderabile, evitando di generare opposizione o paura.
Uno storytelling efficace segue una struttura semplice e chiara: contesto, azione, risultato che aiuta a dare concretezza e coerenza al messaggio:
- inizio (contesto): la storia si apre con un riferimento alla cultura attuale (“nella nostra azienda siamo abituati a fare così…”), per creare immediata identificazione;
- corpo centrale (azione): in pochi secondi, mostra l’azione positiva o il comportamento che si desidera replicare, attraverso l’esempio concreto di un collega;
- finale (risultato): si conclude illustrando il beneficio tangibile ottenuto: riduzione dei tempi di fermo macchina, maggiore sicurezza, miglioramento della qualità o soddisfazione personale.
In questo modo, lo storytelling non solo chiarisce che cosa cambiare ma soprattutto perché farlo: mostra il legame diretto tra il nuovo comportamento e il successo collettivo.
Raccontare storie di vita aziendale reale crea identificazione e coinvolgimento emotivo. Le storie non impongono il cambiamento ma lo propongono in forma di esperienza condivisa, abbassando le difese naturali, facilitando la riflessione e permettendo di interiorizzare nuovi significati senza percepirli come imposizioni, trasformando la paura del nuovo in curiosità e motivazione all’azione.
Il feedback dai partecipanti
Il feedback rappresenta uno degli strumenti più potenti per accompagnare un’organizzazione nel cambiamento. Non si tratta soltanto di raccogliere opinioni, ma di attivare un processo di ascolto reciproco capace di consolidare la consapevolezza e di orientare le azioni future. Nei percorsi di trasformazione tecnologica o culturale, questo momento si concretizza spesso attraverso la sessione di domande aperte, un passaggio che va ben oltre la semplice occasione di chiarire dubbi: diventa infatti uno spazio di confronto autentico, dove le persone possono esprimere domande, paure ed aspettative.
Il suo valore sta proprio in questa capacità di trasformare la comunicazione dall’alto in un dialogo aperto e bidirezionale. Grazie a essa, i leader hanno la possibilità di misurare il livello di comprensione del progetto, adattare il messaggio in tempo reale e soprattutto dimostrare con i fatti che sono pronti ad ascoltare e a integrare i contributi di tutti. È in questo clima che nasce la fiducia, condizione indispensabile affinché il cambiamento venga percepito come un’occasione di crescita e non come una minaccia.
Nel contesto di un cambiamento tecnologico, ricevere un feedback non significa automaticamente saperlo accettare: spesso le reazioni iniziali sono difensive, tendendo a minimizzare o reinterpretare le osservazioni come forma di protezione. Per affrontare con successo l’adozione di nuove tecnologie, è necessario cambiare prospettiva: considerare il feedback non come un giudizio, ma come uno strumento per migliorare processi, competenze e utilizzo degli strumenti. È importante riflettere sulle azioni concrete da intraprendere, sulle pratiche da mantenere e sulle nuove esperienze che possano rafforzare le capacità necessarie al cambiamento. I leader hanno un ruolo chiave: devono trasformare le eventuali critiche in opportunità di crescita e di accelerazione dell’evoluzione tecnologica dell’organizzazione.
Le domande riportate nella tabella di seguito rappresentano una selezione delle domande della sezione Feedback tra le più efficaci emerse dalle best practice. Possono essere utilizzate dai leader come guida per stimolare consapevolezza, raccogliere feedback autentico:
| Domanda feedback | Nota per il leader |
| Quanto è chiaro il perché del cambiamento su una scala da 1 a 10? | La scala 1-10 fornisce un dato quantificabile immediato (KPI) |
| Quali rischi concreti se il progetto non verrà implementato, sia per il team che per l’intera azienda? | Più specifica e richiede un’analisi del rischio su due livelli (team/azienda). Utile per entrambe le prospettive |
| Quale aspetto del cambiamento risulta più difficile da comprendere e quali informazioni sarebbero utili per colmare questa lacuna? | Unisce la richiesta di difficoltà alla richiesta di soluzione |
| In che modo la comunicazione del “perché” potrebbe diventare più autentica e motivante (es. storytelling, casi reali, conversazioni dirette)? | Ottima per la prospettiva leader (chiedendo all’utente cosa ha funzionato o cosa manca) |
| Quali azioni concrete servono per rafforzare la consapevolezza in tutta l’organizzazione? | Rende la domanda più orientata all’azione e alla strategia (cosa faremo in futuro), anziché solo alla verifica dell’allineamento |
| Con quale frequenza sono necessarie le sessioni di feedback (AMA, sondaggi) per monitorare e consolidare la consapevolezza nel tempo? | Si focalizza specificamente sulla frequenza del feedback bidirezionale (fondamentale per la gestione del cambiamento), anziché solo sulla modalità di ricezione della comunicazione |
| Quali benefici personali ci si aspetta dal cambiamento e come questi si collegano agli obiettivi strategici dell’azienda? | Aggiunge il concetto di collegamento con gli obiettivi strategici |
Piano d’azione e misurazione della fase “Awareness”: roadmap operativa
Il piano d’azione per la fase di consapevolezza traduce la strategia e lo storytelling definiti in precedenza in una sequenza di azioni concrete e misurabili. L’obiettivo è massimizzare la comprensione del “perché” del cambiamento, quantificare il livello di consapevolezza di base e stabilire un ciclo di feedback immediato e trasparente.
Il seguente piano d’azione rappresenta un esempio di best practice per la fase di consapevolezza. La sequenza proposta deriva da casi reali che hanno dimostrato efficacia, ma va sempre adattata alla durata, alla complessità e alla tipologia specifica del progetto.
| Step | Nome dell’attività | Descrizione operativa | Obiettivi chiave | Frequenza/Durata |
| Passo 1 | Kick-off: “Il Perché e la Storia” | Breve presentazione (10-15 min) live o in video del Top Management. Deve includere la storia d’impatto: 1) Problema attuale, 2) Rischio se non si agisce, 3) Beneficio del cambiamento | Portare il “Perché” al centro e creare un punto di riferimento condiviso | Singolo evento (all’inizio della fase) |
| Passo 2 | Polso-Why | Sondaggio rapido online e anonimo (es. 5 domande chiave: scopo, rischi percepiti, impatto sul lavoro, livello di informazione ricevuta, domanda aperta) | Misurare in modo quantificabile il livello di consapevolezza iniziale, individuare i fraintendimenti e le aree grigie, ottenere un feedback immediato sulla chiarezza del Kick-off | Una settimana dopo il Kick-off |
| Passo 3 | Mini-Workshops | Sessioni di 15-30 minuti a livello di team/reparto, guidate dai Change Champion. Utilizzano la struttura dello storytelling: 1) Contesto (situazione pre-cambio); 2) Azione (esempio concreto di un collega); 3) Risultato (benefici tangibili) | Collegare il “Perché” astratto ad esempi concreti, aumentando la risonanza emotiva, la memorizzazione e il coinvolgimento diretto del personale | Una volta a settimana per le prime due settimane, successivamente ogni tre settimane |
| Passo 4 | AMA (Ask-Me-Anything) | Sessione di domande aperte, guidata dal Change Leader e dal Top Management. Permette l’invio di domande anonime | Creare un dialogo bidirezionale, ridurre le paure e i dubbi irrisolti, dimostrare trasparenza e ascolto attivo della leadership. Le risposte devono essere sintetizzate sull’intranet e condivise | Due settimane dopo il kick-off, o prima se necessario in base alle esigenze individuate dal Change Leader |
| Passo 5 | Reporting e aggiornamento KPIs | Dashboard di monitoraggio semplice e visibile a tutti (o ai manager). Include KPI, Milestones raggiunti e progressi fatti | Mantenere l’attenzione sul cambiamento, celebrare i progressi e fornire la prova che il feedback e gli sforzi stanno producendo risultati | Con cadenza mensile per l’intera durata del progetto |
Per misurare l’efficacia delle azioni intraprese (Kick-off, Polso-Why, AMA) e per garantire una reportistica oggettiva (passo 5 della Roadmap), sono stati definiti i seguenti Key Performance Indicators (KPIs) per la fase Awareness che saranno monitorati mensilmente.
Gli esempi riportati di seguito si basano sulle best practice di gestione del cambiamento per valutare l’impatto delle attività e il livello di consapevolezza raggiunto:
| Categoria | KPI | Metodo di misurazione | Obiettivo (esempio) |
| Chiarezza del “Perché” | Percentuale di dipendenti che spiegano correttamente lo scopo principale del cambiamento. | Risultati del “Polso-Why” o dei Mini-Workshops | > 85% entro la fine del primo mese, monitorando la quota di opinion leader coinvolti |
| Coinvolgimento e trasparenza | Numero totale di domande poste nelle sessioni AMA (Ask-Me-Anything) | Reportistica interna delle sessioni AMA | > 50 domande per sessione, con un trend in calo e variazione del contenuto (segno di risoluzione dei dubbi) |
| Reach e copertura | Tasso di partecipazione al sondaggio “Polso-Why” | Piattaforma di sondaggi (Google Forms, ecc.) | > 75% di partecipazione a livello organizzativo |
| Consapevolezza del rischio | Punteggio medio sulla chiarezza del rischio | Domanda a scala 1-10 dal sondaggio “Polso-Why” | Punteggio medio > 8/10 |
Conclusione
Una consapevolezza chiara e condivisa è il presupposto imprescindibile per passare alla fase successiva del modello ADKAR: il desiderio (desire). Le persone non desidereranno applicare una nuova tecnologia se prima non ne comprendono appieno il perché e l’impatto sul loro ruolo. Quando i dipendenti comprendono la necessità del cambiamento: non sempre si tratta di un arricchimento professionale ma della consapevolezza che è indispensabile affrontarlo per garantire la continuità, si genera la motivazione intrinseca necessaria per desiderare attivamente di partecipare alla transizione e di abbandonare le vecchie abitudini. In altre parole, è a questo punto che il “sapere” si converte in “volere”, proiettando l’organizzazione verso l’adozione efficace delle nuove tecnologie.
Check-list di domande autoriflessive
Ecco la checklist di domande auto-riflessive sulla fase 1: la consapevolezza, progettata per aiutare leader e manager a valutare l’efficacia della comunicazione e dell’allineamento culturale in un contesto di trasformazione tecnologica industriale.
| Punto di vista del leader | Punto di vista dell’utente finale |
| Sono in grado di spiegare con chiarezza e passione il “perché” di questo cambiamento e quali risultati chiave aziendali ci aspettiamo? | Quali aspetti del cambiamento ti risultano più e meno chiari dopo la comunicazione iniziale? |
| I dipendenti a tutti i livelli comprendono in modo univoco le conseguenze negative del non adottare la nuova tecnologia? | Quali dubbi o preoccupazioni hai ancora rispetto al progetto? |
| Le mie storie seguono la struttura efficace: contesto (inizio), azione (corpo), risultato (finale)? | Quali strumenti comunicativi (riunioni, storie, esempi pratici) ti hanno aiutato maggiormente a comprendere il cambiamento? |
| Queste storie sono state progettate per aggirare le barriere di autodifesa e creare un impegno emotivo, anziché limitarsi a fornire semplici istruzioni? | In che modo preferisci ricevere aggiornamenti e informazioni (email, incontri, workshop)? |
| Prima di ogni comunicazione chiave, ho praticato l’ascolto empatico cercando di comprendere il punto di vista dei miei collaboratori e di parlare il loro linguaggio, creando un ponte di comprensione reciproca? | Sei stato coinvolto in attività di comunicazione e ascolto improntate all’empatia, al confronto aperto? |
| Esiste un meccanismo formale e frequente per garantire che il messaggio sia allineato e venga trasmesso a cascata in modo coerente dalla leadership fino agli utenti finali? | Quali ulteriori supporti (formazione, confronto diretto, materiali) potrebbero aiutarti ad aumentare la tua consapevolezza? |
| Dopo aver comunicato la visione, ho fornito tempo sufficiente ai dipendenti per comprendere i benefici personali che trarranno dal cambiamento? | Quali benefici personali ti aspetti da questa trasformazione? |
| La nostra comunicazione iniziale si è concentrata sul potenziale arricchimento professionale (anziché sulla paura), preparandomi ad affrontare le resistenze individuali che emergeranno nella Fase 2? | Ti è chiaro in quale modo il cambiamento in parola porterà ad un potenziamento delle tue capacità e ad un arricchimento personale, aiutandoti a fare meglio ed in meno tempo il tuo lavoro? |
Autori
- Nicole Mantegari: Controller & Innovation Consultant
- Marco Perona: Professore ordinario – Università degli studi di Brescia
Co-autori
- Giovanni Sgalambro – Co-founder e CEO Accompany, Adjunct professor of “Organizing & Leading Change” Unicatt, Co-founder e Past President Assochange
- Stefan Wilda – Coach SITC (Swiss Institute for Training and Coaching)
- Luca Argenton – Co-founder e CEO, Digital Attitude
- Federico Adrodegari – Ricercatore di service management e servitization, Università degli Studi di Brescia
- Filippo Muzi Falconi – CEO, Methodos
- Anna De Carolis – Assistant Professor, Politecnico di Milano
Lino Codara – Professore Associato in Sociologia dei processi economici e del lavoro, Università degli Studi di Brescia








