Prospettive

Digital India, la crescita turbolenta di un hub produttivo e tecnologico

Tra differenti velocità di crescita, aree rurali arretrate e centri tecnologici di eccellenza mondiale, l’India vuole competere per il ruolo di futura “fabbrica del mondo” assolto oggi dalla Cina. Si stanno creando, tra mille difficoltà, le condizioni culturali, tecnologiche e infrastrutturali per essere punto di riferimento per la produzione e la logistica mondiale del prossimo decennio

Pubblicato il 03 Mag 2023

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Se la nostra piccola Italia raggiungerà la cifra stimata di 60,4 milioni di abitanti nel 2025, le Nazioni Unite hanno da poco certificato che il 15 aprile 2023 è stato il giorno in cui l’India ha raggiunto il numero di 1.425.775.850 abitanti, diventando, di fatto, la nazione più popolosa del pianeta, superando la Cina.

Basterebbe questo dato per immaginare la complessità delle dinamiche evolutive economiche, politiche e, nella nostra analisi, tecnologiche, di questo continente guidato, dal 2014, dal primo ministro Narendra Modi. Solo per fissare il modello politico di riferimento, il premier proviene da uno dei ranghi più bassi del sistema delle caste indiane (ghanchi), ha un passato politicamente ingombrante, permeato da un nazionalismo radicale che l’ha portato a far parte, in gioventù, di un movimento hindu paramilitare di estrema destra.

La sua azione di governo, in nome di un liberismo di mercato spregiudicato, è stata spesso connotata da limitazioni alla libertà di stampa, tagli alla spesa sociale, contrasti alle attività sindacali, riduzioni dei diritti collettivi, tra cui una più facile possibilità di licenziamento e concessioni all’estensione libera dell’orario di lavoro dei dipendenti.

La corruzione è inoltre da sempre un modello di comportamento diffuso in India ma, come avvenuto anche nella nostra recente analisi sullo sviluppo tecnologico in Africa, sarebbe sbagliato, in una nazione di quasi un miliardo e mezzo di persone, generalizzare usi e costumi e non vedere l’enorme e complesso sviluppo che esiste “a macchia di leopardo”, con spinte evolutive d’eccellenza (spesso proprio sul versante delle tecnologie ICT) e realtà profondamente retrograde che convivono tra loro.

Ancora un brevissimo accenno, dopo quello politico, al quadro economico. Proprio per i motivi di estensione territoriale a cui corrispondono diverse velocità e complessità di sviluppo, l’India resta un paese solo in parte industrializzato, con punte di eccellenza: ad esempio l’ecosistema delle startup indiane continua a essere attrattivo e con circa 62.000 realtà registrate, rappresenta il terzo più grande ecosistema di startup al mondo, dopo Stati Uniti e Cina.

Nel 2022 ben 68 startup sono diventate unicorni e l’intero sistema ha raccolto circa 55 miliardi di dollari di finanziamenti. Secondo gli ultimi dati diffusi dalla società indiana di consulenza finanziaria StrideOne, questo ecosistema ha il potenziale per contribuire almeno al 4-5% del Pil indiano nei prossimi tre-cinque anni.

Un hub globale per logistica, produzione e IT

Uno dei punti centrali dell’azione di governo del premier Modi, fin dal suo insediamento nel 2014, è stato quello di garantire all’India un ruolo centrale nello sviluppo economico mondiale. Il progetto-bandiera è quel “Make in India”, lanciato nel 2014 per creare le condizioni affinché le aziende di tutto il mondo avessero la possibilità di sviluppare, produrre e assemblare i propri prodotti in India. Correlato a questa strategia, con sotto-progetti che impattano su 25 settori merceologici anche dal punto di vista della creazione di nuovi posti di lavoro e di competenze, vi è l’obiettivo, per l’India, di essere attrattiva per gli investimenti esteri, sviluppando e ammodernando le infrastrutture.

Un paese, insomma, che vuole competere per il ruolo di “fabbrica del mondo” assolto oggi dalla Cina. Una transizione da territorio considerato pochi anni fa come call center globale e fornitore di servizi di basso livello, a nazione in cui esistono le condizioni culturali, tecnologiche e infrastrutturali per essere punto di riferimento per la produzione mondiale del prossimo decennio.

L’ultimo esempio concreto di questa ambizione si è avuto in occasione del Covid, che ha messo a dura prova le catene di approvvigionamento mondiali delle aziende, evidenziandone tutta la loro rigidità e complessità al ridisegno dinamico.

L’India, dopo quell’esperienza, beneficia ora del fatto che molte imprese stanno ripensando le proprie supply chain in un’ottica di maggiore resilienza e identificano in nuove competenze e servizi proprio l’India come paese target. Anche in questo caso, la nazione vuole diventare, nelle intenzioni del governo, un hub globale per la logistica, oltre a essere un hub per il disegno e la produzione dedicata all’estero e un hub per l’IT mondiale.

Numerosi sono però gli ostacoli a questo disegno. Uno dei più critici lo si rileva nell’impianto culturale-politico originario dove, indipendentemente dal colore dei governi, è sempre mancata una vera predisposizione a riformare a fondo il sistema burocratico e protezionista indiano, cosa che fino a oggi ha impedito un’adesione efficace, al di là dei trattati formali, ad alleanze internazionali che rappresentassero sbocchi economici strutturali a livello globale.

Società digitale, centri hi-tech, parchi tecnologici

L’India è composta in prevalenza da una popolazione giovane (media di 27 anni contro i 47 dell’Italia) e con un buon livello di istruzione rispetto ai tradizionali parametri dei paesi in via di sviluppo, con il 36% circa che vive in aree urbane e il 64% in zone rurali. Se guardiamo poi alla fascia di età più produttiva dai 15 ai 54 anni, ci riferiamo a circa il 59% della società, il che spiega l’enorme difficoltà nel soddisfare la necessità di occupazione nel paese.

In soli sei anni il continente indiano è passato da essere importatore a secondo produttore ed esportatore mondiale di smartphone. Ciò ha fatto si che oggi ben il 99% delle attività on line avvenga attraverso cellulari e secondo dati GSMA Intelligence vi erano 1,10 miliardi di connessioni mobile attive all’inizio 2023 (equivalenti al 77% della popolazione), 467 milioni di utenti di social e circa 700 milioni utenti Internet.

Una serie di campagne sono state inoltre lanciate negli ultimi anni, all’interno della strategia “Digital India” voluta dal governo, per aumentare nella popolazione l’uso di tecnologie digitali e device attraverso un miglioramento delle infrastrutture on line e delle connessioni Internet del paese. Questo soprattutto allo scopo di raggiungere le numerose aree rurali arretrate attraverso reti ad alta velocità, per erogare poi servizi utili alla vita quotidiana e al lavoro anche di basso livello.

Questa diffusione sociale delle tecnologie digitali ha generato un mercato dell’elettronica-informatica tra i più grandi al mondo, con consumi passati dai 70 miliardi di dollari del 2012 ai 400 miliardi del 2020 (fonte Assocham – Associated Chambers of Commerce & Industry of India). Ma al di là dei numeri è notevole la diffusione, pur sempre a macchia di leopardo, di tecnologie infrastrutturali, di competenze tecnologiche e di ecosistemi formati da startup-centri di ricerca-università focalizzati sulle tecnologie informatiche e su servizi IT di alto livello erogati alle imprese di tutto il mondo.

Ciò ha creato un sistema virtuoso che ha portato nel tempo alla nascita, oltre che di startup, di realtà IT consolidate di livello mondiale in grado di erogare servizi di primissimo piano, utilizzando competenze e tecnologie (sia nazionali sia dei principali player internazionali del settore) allo stato dell’arte. Nell’attuale economia mondiale l’India è il più grande esportatore di Information Technology e l’export costituisce circa il 79% delle entrate totali del settore, con una domanda interna in costante crescita.

Elettronica di consumo, aerospaziale, difesa, smart city generano oggi una domanda di semiconduttori enorme, con un import cresciuto dai 10 miliardi di dollari del 2013 ai 53 miliardi del 2020. Tutto ciò ha creato competenze importanti nel comparto dei microprocessori (nel disegno dei processi, dei chip e del relativo testing, nonché dei sistemi embedded in area IoT e nella sensoristica).

Accanto, quindi, ad aree rurali di estrema complessità sociale si sono affermate eccellenze tecnologiche di livello mondiale. Alcuni esempi? Il Technology Hub di Bangalore (nota come la Silicon Valley indiana), il più grande dell’India, specializzato nella ricerca tecnologica e nello sviluppo di ecosistemi di startup; l’Hi-Tech city di Hyderabad, il secondo centro del paese per export di IT specializzato in bioinformatica (analisi di grandi volumi di dati in aree quali biologia, chimica, fisica, matematica e statistica attraverso complessi sistemi e architetture hardware e software); il Tidel Park di Chennay, inaugurato nell’ormai lontano 2000 che raggruppa aziende IT e startup; il Centro di Eccellenza in Nanotecnologie (CEN) applicate ai componenti elettronici/transistor (nanoelettronica) presso l’Indian Istitute of Technology (IIT) di Bombay, specializzato nella ricerca del disegno e della produzione dei semiconduttori Cmos, di pannelli fotovoltaici, di memorie basate su polimeri in alternativa ai semiconduttori inorganici convenzionali.

Sviluppo software di qualità in outsourcing

È proprio per questo robusto ecosistema tecnologico, insieme alla disponibilità di ampi bacini di competenze e a costi operativi contenuti, che l’India si è ritagliata un posto riconosciuto a livello mondiale anche nell’outsourcing dello sviluppo software. Sfruttando una serie di vantaggi. Tra questi, oltre a essere il secondo paese al mondo in cui si parla la lingua inglese, senz’altro il fatto di disporre di alti livelli di specializzazione da parte di giovani programmatori indirizzati allo sviluppo software per mobile, Web application, machine learning, cloud, sistemi operativi e applicazioni customizzate molto complesse.

Il paese, nel 2021, ha raggiunto il primo posto nel Kearney Global Services Location Index (ranking realizzato dall’omonima società di consulenza mondiale che opera con circa il 75% delle Fortune Global 500) riconosciuta a livello internazionale nella valutazione della qualità dei servizi IT dei diversi paesi considerando le potenzialità economiche, la disponibilità di competenze, le potenzialità di business, la cultura digitale, ecc.

I progetti di sviluppo software si basano oggi su ambiti e tecnologie hardware e software allo stato dell’arte. Alcuni esempi sono relativi a progetti di hyper automation (processi di robotica basati su software di Intelligenza Artificiale – il mercato indiano dell’AI era di 3,1 miliardi di dollari nel 2020 ed è previsto, secondo Idc, essere di 7,8 miliardi di dollari nel 2025); software e servizi per IoT; servizi di Kpo (Knowledge Process Outsouring), cioè l’esternalizzazione di informazioni “core” legate allo sviluppo dei progetti quali attività di R&D, data analysis, business insight; progetti di DevOps (previsto crescere come mercato, secondo la società di consulenza Industry ARC, a un tasso del 23% nel periodo 2020-2025); cybersecurity, blockchain, tecnologie e metodologie evolute di software testing.

Da non dimenticare, infine, il vantaggio economico legato a differenze importanti nei livelli salariali, dato che un software engineer negli Stati Uniti percepisce in media uno stipendio attorno ai 95.000 dollari annui mentre in India non raggiunge, sempre in media, i 5000 dollari (uno sviluppatore indiano oggi guadagna circa 400 dollari al mese).

Media del salario mensile in India (82.000 rupie = 1000 dollari)

Certo si tratta di un mercato che sta saturando la capacità di offerta dei centri IT indiani e quindi i rischi di decadimento di servizio vanno attentamente valutati, così come non sono da sottovalutare aspetti critici legati alla protezione dei dati strategici relativi a progetti di sviluppo software “business core”. Ma la sfida è lanciata: il gigante indiano, pur con tutte le sue contraddizioni sociali, religiose e culturali, vuole giocarsi la partita della leadership dei prossimi decenni.

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