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Quando i dipendenti dicono “no”: l’attivismo interno come leva per un’AI etica



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L’etica dell’intelligenza artificiale non sia solo questione di policy. Sempre più spesso, sono i dipendenti a farsi portavoce dei rischi e a contestare pubblicamente scelte aziendali ritenute dannose. Trasformare il dissenso in co-creazione è oggi la vera sfida delle imprese. L’analisi di Gartner

Pubblicato il 4 set 2025



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L’etica dell’AI non è solo una questione di policy o regolamenti, ma sempre più spesso si gioca nelle dinamiche quotidiane delle organizzazioni. Una delle tendenze più rilevanti emerse dalla recente analisi di Gartner sul futuro del lavoro riguarda proprio l’attivismo interno come leva per garantire un’intelligenza artificiale realmente utile, inclusiva e responsabile.

Nel corso del podcast ThinkCast, Emily Rose McRae, Senior Director Analyst di Gartner, ha illustrato alcuni casi in cui i dipendenti hanno contestato pubblicamente l’adozione di strumenti di AI che ritenevano rischiosi o dannosi. Più che una reazione difensiva, queste iniziative rivelano un profondo senso di responsabilità verso l’organizzazione, i clienti e la società.

I casi in cui i dipendenti hanno detto “no”

Uno degli esempi più significativi citati da McRae riguarda un sistema sanitario californiano che ha introdotto diversi strumenti AI in ambito clinico: sistemi di trascrizione automatica, raccomandazioni per la cura, supporti decisionali. Il personale infermieristico ha espresso per tempo preoccupazioni concrete, legate all’impatto sui pazienti e al deterioramento della qualità assistenziale. Ma le loro segnalazioni sono rimaste inascoltate.

La mancanza di un canale ufficiale per raccogliere il dissenso ha portato a una protesta pubblica. I dipendenti si sono mobilitati all’esterno dell’ospedale, denunciando alla stampa i pericoli associati all’adozione di queste tecnologie. Il danno reputazionale per l’organizzazione è stato considerevole, ma evitabile. La lezione non riguarda solo quel singolo ospedale, ma tutte le aziende che intendono integrare l’AI nei propri processi senza meccanismi efficaci di ascolto.

Perché il dissenso è una risorsa

Secondo McRae, l’errore è interpretare il dissenso come una forma di resistenza al cambiamento. Al contrario, quando i dipendenti si attivano per mettere in discussione l’uso di un’AI è spesso perché possiedono competenze contestuali e sensibilità etiche che sfuggono ai decision maker.

L’etica dell’AI richiede non solo regole astratte, ma una comprensione situata degli effetti delle tecnologie sul lavoro reale. Chi opera sul campo vede ciò che funziona e ciò che non funziona prima di chiunque altro.

La vera innovazione, afferma McRae, nasce quando le decisioni sono avvicinate il più possibile al luogo in cui producono effetti. In questo senso, l’attivismo interno rappresenta un canale informale ma prezioso per individuare rischi prima che diventino danni.

Come ascoltare davvero la base

Dare spazio all’ascolto attivo non significa solo aprire un modulo di segnalazione o una casella email. McRae insiste sulla necessità di strutturare canali reali di confronto tra chi sviluppa, implementa e subisce le tecnologie. In molte aziende manca una figura con la responsabilità esplicita di valutare l’impatto organizzativo delle decisioni tecnologiche.

Quando queste responsabilità non sono distribuite o chiare, il feedback viene disperso, ignorato o neutralizzato. Al contrario, modelli che prevedono momenti ricorrenti di dialogo tra leadership, team tecnici e utenti finali permettono di intercettare segnali deboli e correggere la rotta in modo tempestivo.

L’attivismo, in questo quadro, non è una rottura dell’equilibrio aziendale, ma una sua forma più avanzata, che mette in crisi pratiche inefficienti o dannose e stimola l’evoluzione.

Co-creare un’AI etica e utile

Il concetto di “responsabilità” associato all’AI ha spesso una connotazione normativa o comunicativa. Ma la responsabilità reale si costruisce nella pratica, nel modo in cui le soluzioni vengono progettate, adottate e monitorate.

Per McRae, la sfida più interessante è trasformare il dissenso in co-creazione. Un’AI etica non può essere calata dall’alto, ma nasce da un processo di confronto con chi vive le conseguenze operative delle scelte tecnologiche. Questo approccio non rallenta l’innovazione, ma la rende più solida, più accettata e, nel lungo periodo, più efficace.

Un esempio citato nel podcast riguarda un’azienda di ingegneria civile in cui gli architetti si sono opposti all’uso di strumenti AI nella progettazione dei ponti. Non per paura della tecnologia, ma perché in caso di errore, la responsabilità legale sarebbe ricaduta interamente su di loro. Qui il dissenso ha portato a una riflessione più lucida sui limiti applicativi dell’intelligenza artificiale, evitando un potenziale disastro legale e tecnico.

L’etica dell’AI, dunque, non può prescindere dalla partecipazione attiva dei lavoratori. Ascoltarli, coinvolgerli e valorizzarli non è solo una buona pratica di change management: è la condizione per sviluppare soluzioni che funzionano davvero.

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