Nel corso dell’evento AI Week 2025, Leonardo Maria De Rossi e Lorenzo Diaferia, docenti alla SDA Bocconi, hanno offerto una lettura lucida e disincantata sull’introduzione dell’AI in azienda. Una riflessione utile in un momento in cui l’entusiasmo tecnologico rischia di offuscare il pragmatismo.
“L’AI viene spesso definita come una tecnologia rivoluzionaria – ha sottolineato De Rossi – ma serve cautela: come già successo con Blockchain o Metaverso, il pericolo è che l’hype superi la reale capacità di generare valore sul campo”.
Indice degli argomenti
Hype Cycle e rischio disillusione
L’intervento ha di fatto messo in evidenza la dinamica dell’Hype Cycle, il ciclo di vita delle tecnologie digitali: da una fase iniziale di entusiasmo collettivo, si passa spesso a una fase di delusione, quando le promesse non vengono mantenute per poi risalire verso una produttività in larga scala. L’adozione dell’AI nelle aziende, infatti, è cresciuta soprattutto in termini di sperimentazioni e Proof of Concept (POC), ma non si è ancora tradotta in modo diffuso in risultati tangibili e scalabili. E, nonostante gli investimenti crescenti, il valore generato resta spesso inferiore alle attese.
Del resto, ci sono dei limiti intrinseci nella GenAI, come sottolineato da Diaferia:
- Assenza di veridicità intrinseca: il sistema non garantisce che ciò che produce sia vero, a meno che non venga strutturato in modo da farlo.
- Assenza di coerenza logica: la GenAI, se non guidata, può generare risultati contraddittori anche a fronte di input identici, creando problemi nei contesti dove ripetibilità e affidabilità sono essenziali.
Questi limiti rendono evidente che introdurre l’AI in azienda non equivale a premere un bottone, ma implica la costruzione di un impianto sistemico, fatto di governance, cultura e tecnologie a supporto.
Una mentalità “post-digitale”
De Rossi parla di “post-digital AI mindset”. Le organizzazioni devono superare l’idea di “adozione dell’ultima tecnologia” e sviluppare una mentalità orientata a valutare criticamente le nuove soluzioni, comprendendo in quali ambiti l’AI può essere realmente efficace.
Un mindset che implica pragmatismo, consapevolezza e capacità di fare scelte tecnologiche in un contesto che evolve a ritmi iper-accelerati. Come ha ironizzato Diaferia: “Dobbiamo rifare le slide tre volte a settimana, perché nulla resta valido il lunedì successivo”.
GenAI e casi d’uso specifici
Uno dei passaggi del confronto è stato dedicato alla difficoltà di applicare tecnologie generaliste, come quelle basate su GenAI, a scenari aziendali specifici. Una delle slide proiettate durante l’intervento mostra chiaramente questo limite: in uno studio Harvard Business School–BCG su oltre 700 consulenti, l’uso della GenAI ha migliorato la performance media, ma nei task che richiedevano veridicità e logicità, il gruppo che non utilizzava GenAI ha ottenuto i risultati migliori.
L’evidenza è chiara: senza formazione e governo del processo, l’AI può ridurre l’accuratezza invece di migliorarla.
Nel corso della presentazione sono stati condivisi diversi casi reali. Tra questi, quello di un Chief Digital Officer che, assunto per guidare un progetto di manutenzione predittiva, ha scoperto l’assenza totale delle precondizioni tecnologiche (infrastruttura, dati, architettura). Il risultato? Un tempo di implementazione superiore a quello del progetto AI stesso. E qui si ritorna a un concetto base: senza una robusta data strategy in azienda, la GenAI può fare poco.
Altro caso emblematico: un AI manager “assediato” da richieste di use case in ogni funzione aziendale, senza una regia centrale, senza priorità condivise, né processi strutturati.
Questi esempi testimoniano la necessità di metodologie di selezione e prioritizzazione dei progetti, capaci di distinguere tra soluzioni di valore e sperimentazioni inefficaci.
Governare l’AI in azienda: i pilastri operativi
L’approccio suggerito dai due docenti si fonda su una struttura modulare, che accompagna l’adozione dell’AI attraverso diverse dimensioni:
- Iterazione rapida e logiche di MVP (Minimum Viable Product)
- Scelta del modello di sourcing (make, buy, modello ibrido)
- Implementazione di processi MLOps (Machine Learning Operations)
- Integrazione dell’AI all’interno della strategia digitale aziendale (l’AI non va vista come un progetto a sé)
- Attenzione a competenze, cultura, architettura IT, sicurezza e compliance
Dall’hype al valore
Il messaggio finale dell’intervento è chiaro: l’AI in azienda può generare valore reale, ma solo se si superano le logiche di adozione impulsiva e si costruisce un framework strutturato di governo.
Non basta sperimentare: è necessario saper scalare, integrare, misurare. Come insegna Tom Davenport, citato durante la sessione: “Le aziende, soprattutto sul lato della domanda tecnologica, faticano a ottenere ritorni concreti perché spesso restano bloccate nella fase sperimentale”.
In definitiva, per fare dell’AI uno strumento al servizio della competitività aziendale, servono metodo, cultura e leadership. E serve disincanto: perché, come ha ricordato De Rossi con taglio pragmatico, “le fatture si fanno oggi, non tra 30 anni”.