Prospettive

Mobilità sostenibile in Italia, a che punto siamo

Uno dei goal di Agenda 2030 punta a garantire l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile. Sebbene la pandemia abbia fatto da freno sulla tabella di marcia dei SDGs, è stata contemporaneamente all’origine del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha fatto propri alcuni degli obiettivi previsti nel documento delle Nazioni Unite. Ecco perché anche il nostro Paese può riuscire a realizzare nei prossimi anni un progetto esteso di mobilità realmente sostenibile

Pubblicato il 17 Set 2021

mobilità sostenibile

Dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile o Sustainable Development Goals (SDG) previsti dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030, il documento siglato nel 2015 da 193 Paesi membri, il numero 11 punta a rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. L’indicatore 11.2, in particolare, mira ad assicurare l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e, ovviamente, sostenibile con riguardo soprattutto ai bisogni delle fasce di popolazione più vulnerabili: donne, bambini, anziani e persone con invalidità.

Per comprendere a che punto sia l’attuazione di questo indicatore, l’ultimo Rapporto SDGs curato dall’Istat, pubblicato ai primi di agosto, traccia un bilancio dello stato di avanzamento di tutti i 17 goal, anche alla luce della crisi pandemica. Il Rapporto, inoltre, confronta gli obiettivi dell’ONU con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, facendo un raffronto tra i goal e le 6 Misure del PNRR. Per quanto concerne le infrastrutture per la mobilità sostenibile, il piano le raggruppa nella Missione 3 allocando 25,40 miliardi di euro tra investimenti sulla rete ferroviaria (24,77 miliardi) e potenziamento del sistema portuale, dell’intermodalità e della logistica integrata (0,63 miliardi).

La Missione 3 del PNRR: infrastrutture per una mobilità sostenibile

“Gli interventi contenuti nella prima componente – si legge nel PNRR – sono destinati allo sviluppo del sistema ferroviario italiano: questa componente è dedicata al completamento dei principali assi ferroviari ad alta velocità e alta capacità, all’integrazione fra questi e la rete ferroviaria regionale e alla messa in sicurezza dell’intera rete ferroviaria. L’obiettivo principale è potenziare il trasporto su ferro di passeggeri e merci, aumentando la capacità e la connettività della ferrovia e migliorando la qualità del servizio lungo i principali collegamenti nazionali e regionali, anche attraverso il rafforzamento dei collegamenti transfrontalieri. La seconda componente – Intermodalità e logistica integrata – prevede interventi a supporto dell’ammodernamento e della digitalizzazione del sistema della logistica”.

La Missione 3, perciò, ha l’ambizione di colmare quel gap che oggi tiene separato il Nord dal Sud dell’Italia: “Nel sistema ferroviario destinato al trasporto di passeggeri, la principale infrastruttura di collegamento del Paese, la rete ad alta velocità si ferma alla Napoli/Salerno. La popolazione residente non servita da quella tratta ferroviaria risulta pertanto scollegata dalla rete ad alta velocità e nel complesso, nel Mezzogiorno, la capacità, l’affidabilità e la frequenza dei servizi ferroviari sono limitate, con lunghi tempi di percorrenza”. A ciò si aggiunge l’esigenza di abbattere le emissioni totali di gas serra che in un sistema come quello italiano sono causate dalla preponderanza del traffico su gomma invece che su rotaia. “Entro il 2030 – è l’auspicio del piano – il trasporto intermodale su rotaia e su vie navigabili interne dovrà essere in grado di competere in condizioni di parità con il trasporto esclusivamente su strada”.

Fonte: Rapporto Istat SDGs

L’incidenza del Covid-19 nell’attuazione dei goal di Agenda 2030

Il Covid-19, che è stato all’origine del PNRR, contemporaneamente ha fatto da freno alla tabella di marcia dettata dall’ONU. In base al Rapporto Istat SDGs, infatti, nel 2020 il Coronavirus ha contribuito a peggiorare il quadro positivo dell’avanzamento degli obiettivi in Italia, facendo scendere i parametri di miglioramento al 42,5% rispetto al 60,5% del 2019 e facendo salire al 37% quelli di peggioramento, che erano pari al 20,5% l’anno precedente.

Con riferimento all’indicatore 11.2 sulla mobilità sostenibile, le statistiche Istat rilevano un lieve miglioramento a livello nazionale delle famiglie che dichiarano difficoltà di collegamento con mezzi pubblici nella zona in cui risiedono, passate dal 33,5% del 2019 al 30,2% del 2020. Crescono invece le persone che si spostano abitualmente per raggiungere il luogo di lavoro solo con mezzi privati (75% contro il precedente 74,2%). Un dato, quest’ultimo, che deve tenere conto dell’incremento massiccio dello smart working e dei periodi di lockdown che hanno precluso l’accesso ai mezzi pubblici, come si ricava anche dalla diminuzione degli utenti assidui di tali mezzi, a cominciare dalla popolazione studentesca. In ogni caso, le percentuali tra dato nazionale e dato Suddiviso per macro aree o per singola regione fanno emergere un divario significativo tra i territori settentrionali e quelli meridionali e insulari, con i primi meno rallentati nel loro percorso di realizzazione degli obiettivi 11.2 in particolare e di tutti gli altri obiettivi in generale.

Nord e Sud, una differenza che resta nonostante i progressi

L’annosa questione della differenza tra Nord e Sud, che il Rapporto SDGs Istat conferma, va letta senza pregiudizi. La Ricerca ICity Rank 2020 condotta da FPA, ad esempio, offre uno spaccato dei progressi sulla strada della digitalizzazione mettendo sul podio dei 10 capoluoghi più virtuosi una città come Cagliari. Ma anche Palermo, Bari e Lecce si piazzano tra quelle che possono vantare standard avanzati di digitalizzazione. Se si considera, invece, la dotazione di infrastrutture per la mobilità sostenibile, il costante sviluppo degli ultimi sei anni si è concentrano specialmente al Nord.

È quanto si evince dallo Smart City Index 2020 di EY che, alla voce mobilità sostenibile, include quella elettrica, quella cosiddetta “lenta o “dolce” (ciclabile e pedonale) e quella condivisa. Sul versante della prima, dal 2016 al 2020 le autovetture elettriche e ibride sono passate da 31.085 a 111.528, vale a dire un incremento pari a +259%. Analogamente, tra il 2014 e il 2020 le colonnine di ricarica presenti nei Comuni sono quadruplicate. Meno marcato, ma pur sempre inarrestabile, l’ampliamento delle piste ciclabili, la cui percentuale è cresciuta in sei anni del 22%, e delle aree pedonali (+8% dal 2016 al 2020). La mobilità condivisa vede primeggiare Milano che nel 2019 aveva più di 3.000 auto in sharing con 6 operatori, di cui 3 elettrici, e 4.800 biciclette in condivisione. A questi veicoli vanno aggiunti i monopattini elettrici, il cui impiego sempre più diffuso sia in condivisione sia come mezzo proprio è tuttora al centro di un dibattito teso a introdurre regole più ferree per il loro utilizzo.

La crescita inarrestabile della mobilità elettrica

La mobilità elettrica, come perno della mobilità sostenibile, merita un ulteriore approfondimento. Al 31 dicembre 2020, secondo quanto riporta l’associazione Motus-E, le vendite di auto elettriche erano uguali a 59.875 (+251,5% sul 2019), di cui 32.500 BEV (Battery Electric Vehicle), cioè alimentate solo da un motore a batteria elettrica, e 27.375 PHEV (Plug-in Hybrid Electric Vehicle), dotate di un motore elettrico e di un propulsore a benzina.

Sul totale delle immatricolazioni dello stesso anno, che ammontano a 1.381.496, si tratta del 4,33%, che potrebbe apparire a prima vista una percentuale irrisoria. In realtà, se si considera che sulle immatricolazioni complessive c’è stata una perdita del 27,93%, il trend dell’elettrico attesta non solo una forte tenuta, ma è l’unico del comparto auto a registrare un segno positivo nelle vendite. Basti pensare che nel novembre scorso la crescita delle BEV è stata di +52% e delle PHEV di +30%. Guardando all’attuale parco circolante di auto elettriche in Italia, che sfiora le 100 mila unità, lo Smart Mobility Report 2020 promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano punta i riflettori sulle infrastrutture di ricarica presenti sul nostro territorio. Ad agosto 2020, l’indagine stima che nel nostro Paese c’erano 16 mila punti di ricarica pubblici e privati ad accesso pubblico, con una distribuzione piuttosto disomogenea tra le diverse regioni. In particolare, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana erano le uniche con una numerosità superiore a 1.500 punti di ricarica.

È giunto il tempo di realizzare una mobilità sostenibile

È evidente che non basta tappezzare i centri urbani ed extra-urbani di punti di ricarica per auto elettriche affinché si realizzi quella mobilità sostenibile auspicata da Agenda 2030. La pandemia ha ridisegnato nuove prospettive per le comunità, assegnando un ruolo differente alla variabile tempo e alle dinamiche degli spostamenti. Il modello della prossimità, sintetizzato nell’idea della “città dei 15 minuti”, nella quale cioè tutto è raggiungibile nel giro di un quarto d’ora, è uno degli esempi di un nuovo modo di vivere, alternativo a quello che abbiamo conosciuto finora. Non è l’unico, ma indica una spinta al cambiamento che molto probabilmente non potrà essere sottovalutata ripristinando le abitudini pre-pandemiche, sempre che si riesca a uscire in modo definitivo dall’emergenza. Una mobilità sostenibile è quanto mai necessaria oggi, a prescindere dal fatto che occorrano 15 o 30 minuti per recarsi al lavoro, in un negozio o a teatro. Poterlo fare in maniera autonoma o con i mezzi pubblici, con la bicicletta o con il treno, inquinando il meno possibile e in totale sicurezza, è un elemento di civiltà che ormai dovrebbe essere acquisito nell’azione politica di un Paese, tanto da dettarne l’agenda da qui ai prossimi anni.

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