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Dalle tecnologie digitali il rilancio del settore fashion e lifestyle italiano

I grandi marchi italiani non sfruttano ancora appieno il digitale per migliorare la user experience negli acquisti online e nei negozi fisici. Lo rivela una ricerca presentata all’evento milanese Netcomm Focus Fashion & Lifestyle assieme a consigli ed esempi virtuosi per sfruttare dati, cloud, AI e realtà virtuale nella creazione di nuovi servizi ai clienti

Pubblicato il 03 Set 2018

un momento del netcomm focus fashion lifestyle

L’adozione delle tecnologie digitali nelle aziende della moda e del lifestyle, così importanti per il made in Italy, non è avanzata come sarebbe auspicabile. Questo è quanto è emerso nella seconda edizione dell’evento milanese Focus Fashion & Lifestyle organizzato a metà luglio da Netcomm, in collaborazione con Google e altri partner, per inquadrare lo stato d’innovazione del settore a livello sia internazionale sia italiano.

Non è una novità che sempre più persone facciano acquisti online: “Il numero degli e-shopper è cresciuto a livello globale da 1,77 miliardi del 2017 a circa 2 miliardi nel 2018 per un valore totale che quest’anno toccherà i 2.800 miliardi di dollari [fonte Statista, ndr] – spiega Roberto Liscia, presidente di Netcomm -. Un terzo della popolazione mondiale compra online e di questo terzo, più della metà lo fa nell’ambito della moda e del lifestyle”.

La spesa nell’e-commerce per capi d’abbigliamento, scarpe e accessori, vale 435 milioni di euro a livello mondiale, “con la prospettiva di una crescita del 12% annuo fino al 2022 – continua Liscia -, creando un nuovo contesto competitivo in cui l’innovazione digitale farà la differenza anche per le aziende italiane”.

Cosa significa? “Cambiamento dei prodotti, nuovi servizi, sistemi virtuali e weareable che producono informazioni e cambiano le modalità di contatto con il cliente”. Poiché i negozi tradizionali non scompariranno (il 63% degli acquisti avviene in modo tradizionale) occorrerà impiegare in essi più tecnologia per migliorare l’esperienza del cliente. “Negozio, e-commerce, comunicazioni social devono essere integrati in ottica omnicanale per rispondere alle nuove attese dei consumatori”, precisa Liscia. Il fatto che il 54% di tutti gli acquisti online sia fatto in Cina, segnala l’importanza dell’internazionalizzazione anche per le più piccole realtà del settore.

La digitalizzazione che serve al business

La trasformazione digitale delle aziende del fashion e del lifestyle non ha una sola ricetta per ogni brand o tipologia di clienti, ma ha in comune la necessità di un approccio omnichannel verso i clienti, la capacità di migliorare i programmi di loyalty e l’esperienza del negozio per poter proporre offerte in real time personalizzate, garantire la disponibilità dei prodotti e permettere pagamenti immediati.

Grafico che mostra le aree di investimenti prioritarie per la crescita del digital lifestyle
Le aree di investimenti prioritarie per la crescita del digital lifestyleFonte: McKinsey – The State of Fashion 2018

Secondo un’indagine McKinsey fatta su professionisti del settore, la necessità d’investire nell’integrazione omnichannel/marketing digitale vede d’accordo il 60% dei rispondenti, CRM e programmi di loyalty il 34%, brand building e difesa del prezzo il 26%, mentre l’investimento IT per digitalizzare la value chain il 24%.

“L’investimento IT è un fattore cruciale per consentire la disintermediazione nella vendita, raccogliere grandi quantità di informazioni sui comportamenti e desideri dei clienti con cui creare offerte più coerenti – spiega Liscia -. Le tecnologie consentono di digitalizzare tutta la catena del valore rendendo i processi più efficienti e rapidi”. Lungi dall’essere un mero fatto tecnico, i pagamenti digitali, sono un aspetto centrale di ogni strategia omnichannel: “Sono il mezzo più semplice per identificare il cliente e ottenere dati utili per mapparne le abitudini e gestire meglio la relazione”.

Nella corsa verso il digitale, le aziende italiane devono accelerare: “Serve compiere un doppio salto di qualità – spiega Marc Sondermann, CEO & Editor-in-chief di Fashion Magazine ed eBusiness Magazine -, cambiando pelle, integrando il negozio fisico con l’online, impegnandosi per ottenere la massa critica necessaria a essere visibili a livello mondiale nelle nicchie d’interesse. La chiave di volta è nel roll-out delle competenze digitali per aumentare la reattività dell’impresa, mettere al centro il cliente e sfruttare le modalità digitali di comunicazione”.

Alessandra Domizi, Industry Head Retail di Google Italia, ha offerto esempi d’impiego delle tecnologie: “Digital assistant e intelligenza artificiale consentono di consigliare il consumatore, anticiparne e predirne i bisogni. Le impiega Zalando nel nuovo servizio Gift Finder che offre consigli a chi deve fare un regalo”. Le tecnologie digitali aiutano l’industria del fashion a personalizzazione l’offerta: “Proponendo i capi che sono più adatti allo stile di vita dei clienti, oppure fatti su misura – continua Domizi -. C’è chi realizza sneakers con suole fatte in stampa 3d”.

La capacità di raccogliere ed elaborare dati in tempo reale permette di ridisegnare la catena del valore, fare offerte lampo con link della durata di pochi secondi, offrire capi simili a quelli visti e fotografati in strada dai consumatori, sfruttando il riconoscimento d’immagine di Google Lens. Tra gli esempi portati da Domizi, c’è l’uso della realtà aumentata per offrire ai clienti l’immagine dei capi indossati. “Ralph Lauren, in collaborazione con Oak Lab, ha creato un camerino digitale che, attraverso un lettore RFID delle etichette e uno schermo, mostra al cliente i capi simili o di differente colore rispetto a quelli provati, aiutando gli assistenti di vendita ad essere tempestivi”. L’impegno di Google nell’ambito della moda non è soltanto funzionale allo sviluppo di applicazioni innovative basate sulle tecnologie AI e cloud della società. Il gigante di Mountain View ha incluso il fashion tra le espressioni d’arte meritevoli d’impegno sul fronte della valorizzazione culturale, sviluppando una serie di contenuti divulgativi multimediali, consultabili al link dello specifico progetto, realizzati con la collaborazione di collezioni, fondazioni e musei di 40 Paesi, di cui una decina solo in Italia tra Milano, Torino, Firenze, Roma e Venezia.

La situazione del mercato digitale e del “made in Italy”

Lars Feldscher, Head per l’area Dach (Germania, Austria, Svizzera) di Astound Commerce, ha offerto all’evento un quadro più preciso delle differenze tra Italia e altri Paesi nel campo dell’e-commerce: “La penetrazione dell’e-commerce sul totale della spesa retail vale in Italia solo il 5% contro il 25% della Germania. Soltanto il 28% di chi compra nel fashion dichiara di farlo prevalentemente online, contro il 40% dei residenti USA”.

Sempre secondo i dati elaborati da Astound, il 61% degli italiani che acquistano fashion trova poco piacevole il canale online, contro il 46% degli statunitensi, “in compenso risultano più attivi nell’uso del cellulare per cercare o acquistare [70% contro il 58% dei tedeschi, ndr]. Gli e-shopper italiani hanno particolare predilezione per Amazon [il 49% ci fa più di un quarto dei propri acquisti fashion, contro il 32% dei tedeschi, ndr] e usano i social per comunicare con le aziende [60%, contro il 50% degli statunitensi e il 48% dei tedeschi ndr]”.

Netcomm e ContactLab hanno realizzato insieme una ricerca sulla competitività digitale di un panel di 19 brand italiani, valutati secondo 180 parametri indicativi della “digital reach” (presenza strategica dei brand sui mercati e-commerce mondiali, principali e-tailer, ampiezza di gamma, attività di engagement, ecc) e della “digital customer experience” (qualità ed efficacia della navigazione sui siti, funzionalità delle app, procedure di acquisto online, servizi cross-channel, ecc). Dall’indagine, il marchio Pinko emerge come il più competitivo per il buon piazzamento in tutti i parametri sotto esame. Al secondo posto c’è Furla che eccelle nella “digital reach” per l’alto livello di globalizzazione dei servizi offerti in Europa, Asia e USA. Al terzo posto, il marchio Patrizia Pepe per il livello dell’interazione digitale offerta ai clienti: “Tutti i 19 marchi esaminati risultano attivi sui canali social, alcuni anche per la vendita diretta tramite Facebook e Instagram – spiega Marco Pozzi, Senior Advisor di ContactLab -. Sono invece deboli nel supporto della cross-canalità”. Tra i servizi cross-canale più importanti, Pozzi cita la possibilità di ritirare, cambiare o rendere in negozio le merci acquistate su Web. Secondo Pozzi, molte aziende italiane che vendono fashion online non valorizzano come potrebbero la provenienza italiana dei prodotti e la realizzazione artigiana.

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