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Capacity planning: che cos’è, come funziona e perché è importante

Un buon capacity plan non solo deve contenere la previsione di performance e di utilizzo relative ai servizi e alle risorse IT. Deve includere proposte di modifiche che permettano di adeguare proattivamente le infrastrutture aziendali ai cambiamenti tecnologici e del business

Pubblicato il 21 Set 2021

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Capacity planning per le aziende significa adottare un approccio che consente di valutare le performance delle infrastrutture on premise, off premise e in cloud nel breve, nel medio e nel lungo termine. In questo modo è possibile valorizzare i sistemi legacy operando una modernizzazione del data center lucida e consapevole. Il che permette di scegliere solo e unicamente le soluzioni che servono davvero, quando servono davvero (e non necessariamente in cloud).

Modernizzazione del data center: più facile a dirsi che a farsi

La premessa fondamentale è che chi si occupa di gestire l’orchestra tecnologica oggi si ritrova a lavorare con infrastrutture sempre più complesse, stratificate e ibride. Oltre a dover capitalizzare gli investimenti fatti in passato, i responsabili dei sistemi informativi devono giustificare i costi di ogni innovazione, con livelli di dettaglio che spesso richiedono capacità previsionali onniscienti. Rispondere alle crescenti domande del business impone agli staff IT dinamiche di servizio che richiedono ulteriori skills. Prendiamo, ad esempio, i container. È vero che la containerizzazione:

  • abilita ambienti multicloud e app cloud-native
  • permette alle aziende di astrarre i carichi di lavoro per eseguirli su qualsiasi infrastruttura e device
  • potenzia la programmazione grazie ai microservizi
  • trasforma i workflow delle VM in container per fornire l’infrastruttura come codice

Tuttavia, per ottenere questi risultati ai team IT servono fortissime capacità di sviluppo e infrastrutture più duttili e resilienti.

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Sistemi legacy da preservare (perché sono ancora importanti)

Per ottenere infrastrutture più duttili e resilienti l’IT deve fare i conti con i propri sistemi legacy. E, di fronte alle difficoltà, la tendenza oggi è quella di guardare al cloud. A questo punto, che si stia costruendo una nuova infrastruttura, espandendo oppure rinnovando uno o più cluster tecnologici presenti nel proprio data center, valutare se l’investimento migliore sia una soluzione on premise o in cloud non è facile. Anche perché non è un out out. Oggi, di fatto, la maggior parte delle organizzazioni utilizza un mix di approcci ibridi e coesistenti:

  • data center locali
  • cloud
  • edge
  • colocation
  • hosting gestito

Hybrid cloud: a ciascuno il suo

In generale, la prevalenza di ambienti ibridi, combinata con i tentativi da parte della comunità dei fornitori di tecnologia di intercettare e soddisfare le esigenze delle organizzazioni, ha fatto sì che termini come cloud ibrido e IT ibrido siano stati utilizzati in maniera equipollente dal mercato. In realtà dietro al concetto di ibrido coesiste un ampio insieme di esigenze e funzionalità diverse. Al punto da far notare agli analisti come anche l’interpretazione di cloud ibrido e IT ibrido varia notevolmente da azienda ad azienda.

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Definire con precisione le proprie esigenze correlate all’infrastruttura ibrida e trasmetterle alla comunità dei fornitori di tecnologia contribuisce a rendere poco chiaro il significato e il valore dell’hybrid cloud.

Capacity planning significa analizzare e valutare tutta l’infrastruttura

Per aiutare a fare chiarezza gli analisti di IDC hanno segmentato le tipologie di utilizzo del cloud ibrido in 6 scenari diversi.

#1 BEST OF BREED

Utilizzo del cloud pubblico o dell’infrastruttura locale per carichi di lavoro o componenti specifici, in base a ciò che soddisfa meglio le esigenze.

#2 TIERING E ARCHIVIAZIONE

Uso del cloud pubblico per il posizionamento a più livelli di dati o carichi di lavoro meno recenti o non critici dall’infrastruttura locale.

#3 TEST, SVILUPPO E GESTIONE TEMPORANEA

Utilizzo del cloud pubblico per le fasi di sviluppo, test e gestione temporanea di applicazioni o aggiornamenti, con la produzione collocata nell’infrastruttura locale.

#4 BACKUP E DISASTER RECOVERY

Utilizzo del cloud pubblico come sito di backup e di disaster recovery per un sito caratterizzato da un’infrastruttura locale attiva.

#5 MIGRAZIONE

Utilizzo dell’infrastruttura ibrida come mezzo per eseguire una migrazione graduale da un ambiente on-premise in un’infrastruttura cloud pubblica.

#6 CLOUD BURSTING (ovvero… finché non scoppia)

Utilizzo del cloud pubblico combinato all’infrastruttura locale (data center o cloud privato), per fornire capacità aggiuntive quando necessario e per periodi temporanei.

Pianificare informati: il nuovo ritmo della governance IT

Grazie a questa classificazione, gli analisti aiutano a mappare meglio sia le risorse che le infrastrutture utilizzate. A questo punto, applicando metodologie di capacity planning più funzionali e efficaci è possibile impostare il proprio modello di hybrid cloud secondo un approccio quanto più funzionale ed efficiente possibile. Se avere la conoscenza della situazione di un sistema informativo a un dato momento è indispensabile, è altrettanto vero che nel futuro i fabbisogni IT potrebbero andare incontro a cambiamenti anche considerevoli che bisogna prendere in considerazione anche per evitare il sovradimensionamento dell’infrastruttura, che impatterebbe negativamente sui budget aziendali, sottraendo risorse preziose alle attività core.Fondamentale in questo caso è il supporto del partner tecnologico che, utilizzando strumenti di capacity planning di ultima generazione, estrae e analizza i dati che descrivono il funzionamento dell’intera l’infrastruttura (considerando qualsiasi tipo di macchina e di qualsiasi vendor).

Capacity planning: come funziona e perché è così importante

Il capacity planning, ovvero la pianificazione delle capacità di ogni risorsa IT, si basa sull’applicazione di algoritmi di statistica inferenziale che identificano correlazioni di cui la maggior parte delle aziende non ha contezza in merito ai livelli di funzionamento in positivo e in negativo di ogni risorsa, andando a evidenziare dove è meglio intervenire per garantire che l’infrastruttura abbia sempre le dimensioni giuste per soddisfare gli obiettivi presenti e futuri. Il piano deve essere redatto tenendo in considerazione diversi scenari di andamento del business e le relative stime dei costi, in maniera tale da fornire i livelli di servizio concordati e, internamente, assicurare la giusta produttività a dipendenti e collaboratori. Per mettere a punto un capacity plan occorre insomma riuscire a rispondere a domande del tipo: quali saranno le esigenze del mio sistema informativo nei prossimi X mesi con una determinata percentuale di crescita del fatturato aziendale? Quali saranno le percentuali di risorse IT impegnate nelle ore di punta? Quali saranno le esigenze infrastrutturali in caso di acquisizione di un dato numero di clienti di grandi dimensioni?

Un approccio decisamente data-driven

Gli algoritmi, infatti, calcolano anche la soglia di resilienza dell’infrastruttura, arrivando a prevedere quando sarà necessario un upgrade per evitare che la continuità operativa arrivi a uno stallo. Grazie a questa valutazione così accurata è più facile capire cosa ridimensionare, cosa esternalizzare in cloud, decidendo se sia meglio una soluzione in un cloud privato o in un cloud pubblico. Secondo Gartner, l’evoluzione tecnologica a supporto del capacity planning porterà a un progressivo affermarsi di piattaforme di AIOps Algorithmic IT Operations, ovvero sistemi capaci di combinare la raccolta dati e le fasi successive di memorizzazione, analisi e visualizzazione, dialogando con i normali strumenti IT e con qualunque tipo di applicazione.

Il capacity planning è multifasico

Il capacity planning detto anche Capacity Management, si compone di quattro fasi principali:

  1. Sviluppo di un capacity plan
  2. Dimensionamento delle risorse
  3. Monitoring dell’utilizzo e delle prestazioni dell’infrastruttura IT
  4. Gestione delle eventuali azioni correttive in una logica di ottimizzazione continua

Un buon capacity plan, dunque, deve contenere la previsione di performance e di utilizzo del servizio/delle risorse IT, ma anche vere e proprie proposte di modifiche che permettano di adeguare la capacità IT aziendale ai cambiamenti tecnologici e alle sempre rinnovate esigenze di colleghi, collaboratori, partner e clienti. Il che richiede una pianificazione continua.

Perché la pianificazione delle capacità è così vantaggiosa

Il vantaggio principale del capacity planning è quello di offrire maggiore visibilità sulle capacità e sulle risorse disponibili, consentendo alle aziende di soddisfare le nuove esigenze in tempo reale invece di aspettare la successiva sessione di pianificazione. In questo modo le imprese possono assegnare in maniera più efficiente le priorità alle attività, operando in maniera ottimale da un punto di vista infrastrutturale. Le altre tre fasi del capacity planning sono consequenziali: le risorse IT vanno effettivamente dimensionate secondo gli assunti alla base del piano, così da garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Una volta raggiunta la capacità ritenuta ottimale, le prestazioni dell’infrastruttura IT devono comunque essere monitorate nel corso del tempo con l’impiego di appositi software, così da effettuare successivi aggiustamenti al mutare delle condizioni.

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Laura Zanotti
Laura Zanotti

Ha iniziato a lavorare come technical writer e giornalista negli anni '80, collaborando con tutte le nascenti riviste di informatica e Telco. In oltre 30 anni di attività ha intervistato centinaia di Cio, Ceo e manager, raccontando le innovazioni, i problemi e le strategie vincenti delle imprese nazionali e multinazionali alle prese con la progressiva convergenza tra mondo analogico e digitale. E ancora oggi continua a farlo...

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