Pmi: investimenti Ict a macchia di leopardo

Non tutte le Pmi italiane investono in Ict meno delle corrispondenti aziende di Paesi avanzati e non sempre le imprese più piccole innovano meno delle imprese maggiori. Questi alcuni dei luoghi comuni che un’indagine condotta nel 2007 dall’Osservatorio Pmi del Politecnico di Milano, che ha coinvolto oltre mille imprese con un numero di dipendenti fra 10 e 500, mette in discussione

Pubblicato il 15 Mag 2008

La considerazione da cui è partita la ricerca dell’Osservatorio Pmi del Politecnico di Milano è che “i dati medi riferiti alle Pmi italiane rischiano di essere fuorvianti non riuscendo a rendere conto dei differenti comportamenti per le diverse tipologie di imprese”, come precisa Stefano Mainetti, docente di Tecnologie dei Sistemi Informativi al Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio assieme ad Andrea Rangone e Raffaello Balocco. I dati statistici dicono infatti che le Pmi italiane spendono in media 850 euro per addetto, ossia circa la metà di quanto spende un’impresa francese o una tedesca di pari dimensioni, un terzo di un’impresa britannica o del nord Europa, un quarto di quanto spende in media un’impresa negli Stati Uniti. “Se iniziamo però a ripartire questo dato considerando il miglior 10%, la spesa sale a 4 mila euro per addetto e a 2.200 euro per il miglior 20%. Possiamo dunque affermare che un 20% delle imprese italiane è allineato all’andamento delle realtà internazionali”, commenta Mainetti, aggiungendo però che la spesa del restante 80% delle imprese scende a 350 euro per addetto. “Si tratta allora di capire per quale ragione alcune imprese impieghino l’informatica in modo proattivo, raggiungendo l’eccellenza, mentre altre la considerino un male necessario e la usino in modo minimale”.

Figura 1: Percentuale di imprese che utilizzano le diverse tipologie di sistemi gestionali (cliccare sull’immagine per visualizzarla correttamente)

La necessità di un’analisi quantitativa
Un ulteriore luogo comune che vede l’uso modesto dell’informatica legato alla piccola dimensione, viene confermato dal dato medio che assegna alle imprese fra 10 e 50 addetti una spesa di 750 euro per addetto, spesa che sale progressivamente per arrivare a 1.200 euro pro capite per le aziende con un numero di dipendenti fra 250 e 500, che rappresentano però solo l’1%. “In verità, il 95% delle aziende italiane è realmente piccola, con un numero fra 10 e 99 addetti – ragiona Mainetti. – E quel 20% di eccellenza precedentemente individuato si colloca in questo insieme”. Da qui la necessità di fare un’analisi di tipo qualitativo per evitare il luogo comune che tutte le Pmi spendono poco e che le aziende piccole non innovano.
Questa visione rischia di non tener conto di aziende piccole che hanno nei propri prodotti componenti tecnologiche interessanti, sistemi di controllo componenti software, informatica integrata processo prodotto ecc. “Per rilevare questi dati di spesa abbiamo fatto grande fatica – ricorda Mainetti. – Una delle attività che le stesse imprese ci hanno chiesto è quella di aiutarle a classificare la spesa, fino ad arrivare a chiederci un vero e proprio assessment delle risorse It. A volte controllano infatti la spesa in termini di acquisito, ma resta poi fuori controllo la componente manutenzione e consumo, che spesso esce dalla gestione It per passare agli acquisti o alla finanza”.
Fra gli elementi di analisi qualitativa emerge anche che le aziende migliori hanno una funzione informatica e un responsabile (che mediamente non esiste nelle aziende più piccole) e nella situazione migliore (imprese fra 250 e 500 addetti) ha a sua disposizione mediamente quattro persone.
“Si tratta dunque di funzioni It molto snelle, con una cultura orientata all’acquisto e la capacità di aiutare l’azienda a livello sistemistico/funzionale, ma spesso non in grado di proporre l’Ict come leva per l’innovazione di processo e di prodotto – sottolinea Mainetti – mentre una cultura più orientata a proporre anche la leva informatica per generare valore è una funzione più portata a generare innovazione anche in ambiti strettamente legati ai prodotti, come, ad esempio, un sistema di controllo di un apparato o sistemi informativi a bordo macchina”.
Ma generalmente, l’informatica tradizionale, che si limita a gestire il server con il pacchetto gestionale, è separata dalle componenti montate a bordo dei prodotti spesso acquisiti da aziende esterne specializzate direttamente dalle funzioni di produzione. “L’80% delle Pmi è smarrito di fronte alle opportunità che l’informatica oggi offre per far evolvere l’azienda – commenta Mainetti. – Si assiste allo scollamento fra le migliori pratiche consolidate sul mercato e la loro capacità di conoscerle e coglierle”.
Per dare un contributo, il Politecnico ha sviluppato una metodologia originale per misurare la maturità dell’Ict, andando ad analizzare gli approcci alle infrastrutture e alle applicazioni, attraverso la definizione di strumenti di misura da utilizzare nelle interviste. In pratica si vanno a misurare efficacia, efficienza e flessibilità che indicano il livello complessivo di maturità rispetto all’Ict.
Il risultato dell’analisi evidenzia che le aziende più mature sono generalmente quelle che competono in mercati che crescono e hanno un business florido da qualche anno. “I casi tipici di aziende italiane di successo sono quelli dove l’imprenditore sa cogliere, con qualche anno di anticipo sui concorrenti, un bisogno latente e riesce spesso a imporre uno stile di vita nuovo, creando il sogno. Il mercato gli dà ragione dal punto di vista economico perché si attrezza con tutti gli strumenti e, in genere, sa utilizzare bene l’Ict dove questa da valore”, afferma Mainetti.
Sul piano informatico queste aziende vedono generalmente una funzione Ict integrata, adottano un Erp integrato di tipo internazionale, mentre le diverse linee di business tengono sotto controllo, fra gli altri aspetti, anche il supporto del sistema informativo alle loro attività.
Per quale ragione, mentre le aziende classificate come mature sono dotate di strutture organizzative sviluppate in una cultura nell’utilizzo eccellente dell’Ict, lo stesso non accade per il restante 80%?

Figura 2: Numero medio di utenti per le diverse tipologie di sistemi gestionali (cliccare sull’immagine per visualizzarla correttamente)

Lungimiranti, statiche, impostate o immature?
Sulla base delle interviste effettuate l’Osservatorio ha classificato le imprese secondo quattro tipologie.
Aziende statiche – Sono quelle che “restano le aziende che erano”. Si sono strutturate per rispondere a un mercato così come era qualche anno fa, nel quale avevano un buon posizionamento, ma ora non sono più in grado di evolvere. Le ragioni sono diverse: si sono ridotti i margini, il mercato di sbocco è strozzato da altre catene del valore, non sono più in grado di investire, considerano l’It un costo da tagliare ecc. Fanno parte spesso di questa categoria i subfornitori, legati a un unico grande cliente che ha la visione del mercato: può forse innovare nel prodotto o nel servizio offerto, ma non ha interesse ad intervenire nelle sue modalità gestionali. “Sono imprese in balìa delle onde: non vedendo il mercato finale non sono in grado di pianificare una crescita armoniosa, e inevitabilmente anche il sistema informativo ne risente – nota Mainetti. – Queste aziende fanno scelte puntuali, spesso volte al contenimento dei costi e senza pianificazione”. Non è detto che queste aziende, in particolare le vecchie glorie, non spendano; ma per lo più si concentrano in progetti che le aiutino a fare efficienza più che a innovare.
Aziende lungimiranti – Ben diverso è l’atteggiamento delle imprese definite come lungimiranti, ossia quel 20% di imprese di eccellenza che è invece più orientato a cogliere l’innovazione, ad esempio investendo in progetti di Scm, di portali per la gestione dei clienti in ottica Web 2.0, ecc.
Queste imprese si collocano in genere in settori merceologici di eccellenza, quelli dove il mercato è attrattivo e le aziende sono in grado di posizionarsi magari in nicchie ma in un ruolo di leadership. Spesso hanno subìto attività di merger e acquisition e sono generalmente partecipate da multinazionali che impongono un piano di evoluzione del sistema. Altra area di eccellenza è costituita dalle aziende che esportano e hanno grandi clienti che generalmente chiedono flussi informativi basati su standard, che richiedono all’azienda di attrezzarsi per farlo.
In sintesi le lungimiranti sono imprese esposte alla concorrenza internazionale, leader nel loro segmento, spesso con processi in atto di merger & acquisition e capital venture al proprio interno.
Aziende impostate – Un’ulteriore categoria è quella delle impostate, che si collocano all’inizio di un percorso evolutivo.
A queste aziende è necessario far vedere il traguardo per evitare che si muovano in un’ottica di patchwork, visto che spesso manca la cultura di prospettiva e la cultura strategica.
“Queste imprese vanno aiutate a capire che l’acquisto non va fatto ad impulso ma va calato in un piano strategico – spiega Mainetti, – e la funzione Ict deve essere in grado di gestire l’evoluzione del Sistema Informativo aziendale”.
Aziende immature – L’ultima categoria è quella delle immature, per le quali l’informatica non è neppure presa in considerazione, che rappresenta ben il 42% del campione.  “Non è semplice offrire informatica a queste imprese –  sostiene Mainetti. – Verso queste imprese va svolta principalmente un’azione di empowerment. Qui  anche le università possono giocare un ruolo molto importante”.

Figura 3: Percentuale di imprese che utilizzano sistemi di business intelligence per classe dimensionale (cliccare sull’immagine per visualizzarla correttamente)

Il ruolo dell’offerta
Oltre all’università, un ruolo importante può essere svolto dai fornitori di tecnologia.
L’approccio suggerito è ovviamente differente per ogni categoria di impresa. Se alle aziende lungimiranti si dovrebbe proporre innovazione, per le miopi e statiche si può partire con un’offerta che preveda un risparmio di gestione (in genere spendono male) attraverso il consolidamento e l’evoluzione infrastrutturale (ad esempio con l’adozione di soluzioni VoIp) per poter investire il risparmio in innovazione.
In generale approcciando le Pmi per la vendita di soluzioni Ict andrebbe evitata la tendenza allo scavalcamento della funzione It, visto che tanto è l’imprenditore che decide, spesso perseguitato dai vendor. “Non solo le multinazionali, ma anche system integrator e software house italiane si trovano giocoforza a vivere la logica del risultato a breve, per cui tendono a scavalcre l’IT per accorciare i tempi di vendita; ma così facendo possono correre il rischio di spingere l’azienda a fare l’ennesimo investimento non calato in un piano complessivo, e quindi probabilmente non in grado di coglierne appieno il valore”, dice Mainetti. Lo stesso mercato dell’offerta è così frammentato che non è in grado di creare quell’ecosistema favorevole alle imprese per aiutarle a crescere in modo armonioso e chi ha come obiettivo quello di vendere a volume non ha certo il margine per farlo. A chi spetta dunque un’azione di promozione che aiuti soprattutto, ma non solo, le imprese ‘immature’?
“La mia visione è che questo ruolo non possa essere svolto solo dalle multinazionali o dai player nazionali maggiormente attivi, che oggi stanno investendo per approcciare in un modo nuovo il mercato delle Pmi – conclude Mainetti. – Credo sia interesse prioritario del nostro Paese salvaguardare l’enorme patrimonio costituito dalle Pmi favorendone lo sviluppo con azioni di sistema che coinvolgano gli opportuni attori istituzionali”.


Osservatorio Pmi: l’analisi del Politecnico di Milano

L’ Osservatorio permanente Ict&Pmi della School of Management del Politecnico di Milano si pone un duplice obiettivo: valutare approfonditamente e criticamente, al di fuori di preconcetti e luoghi comuni, le problematiche relative all’innovazione strategica, Ict, di prodotto, di processo e finanziaria nelle Pmi del nostro Paese; monitorare periodicamente, in termini quantitativi, lo stato di adozione delle Ict ed i corrispondenti livelli di spesa nelle nostre Pmi.
Nel corso del 2007,  è stata condotta una ricerca statisticamente significativa estesa a più di 1.000 imprese con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 500 appartenenti a tutti i settori merceologici, con l’obiettivo di analizzare il livello di diffusione e utilizzo delle Ict (infrastruttura hardware, sistemi gestionali, sistemi Cad e Plm, sistemi di Business Intelligence, applicazioni Web, ecc.) nelle Pmi italiane, il livello di spesa IT e la maturità Ict.

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