Il project manager nelle aziende: tendenze e prospettive

I progetti tendono a rappresentare sempre più spesso un “modo di fare” delle organizzazioni. iniziative temporanee, finalizzate a realizzare cambiamenti, i progetti creano discontinuità rispetto alle normali attività di routine. Questa discontinuità riguarda diversi aspetti…

Pubblicato il 04 Giu 2006

I progetti, essendo iniziative temporanee finalizzate a realizzare cambiamenti, creano discontinuità.
Un primo fattore di discontinuità è rappresentato dalla temporaneità: mentre le attività routinarie sono continue, il progetto, per sua stessa natura, ha un inizio e una fine. Anzi, si potrebbe dire che tutte le attività inerenti il progetto sono finalizzate alla sua (positiva) conclusione, mentre le attività concernenti la routine sono principalmente mirate al mantenimento (magari ottimizzando qualcosa) dello status-quo.
Un secondo aspetto, non meno importante, riguarda i rapporti tra le persone: si esce dalla tradizionale logica capo-collaboratore per entrare in quella dove un team di più persone appartenenti a comparti aziendali diversi si trova a lavorare insieme coordinate da una figura, il project manager, diversa dal loro responsabile gerarchico. I rapporti che si instaurano nel lavoro per progetti sono pertanto temporanei. Le dinamiche di avvicinamento delle persone coinvolte e di costruzione dei gruppi di lavoro sono necessariamente accelerate rispetto a quanto avviene all’interno dei classici gruppi funzionali. Occorre notare che a tale proposito la letteratura è carente di modelli specifici di riferimento, in quanto tratta i temi della formazione e gestione del team che usano stereotipi di general management che poco o nulla hanno a che vedere con le logiche dei progetti.
Un terzo elemento è rappresentato dalla coesistenza, a volte dal “disturbo reciproco” tra progetti e processi routinari. Infatti, a latere dei progetti, l’azienda continua a operare nel quotidiano applicando regole, processi e abitudini consolidate nel tempo. Capita inoltre che qualche progetto vada proprio a modificare uno o più processi esistenti e in questo caso le situazioni di conflitto tra i detentori dello status-quo e gli attori del progetto, sono tutt’altro che infrequenti.
Queste considerazioni sono tanto più valide quanto maggiore è il numero di progetti contemporaneamente attivi nell’organizzazione e conseguentemente più ampio il ventaglio delle persone a vario titolo coinvolte in essi. In questo quadro di riferimento, la visione vetusta si, ma dura a morire, secondo la quale il project management non è altro che un insieme di tecniche e strumenti, mostra in modo palese e definitivo tutta la sua miopia. Discutere oggi di project management in termini originali o innovativi è ormai impresa ardua. Questo termine, pressoché sconosciuto alla maggioranza delle persone fino a un paio di decenni or sono, è negli ultimi anni prepotentemente entrato nel lessico comune della maggior parte delle organizzazioni, anche se talvolta a sproposito.
A ben guardare però, è il termine “project manager” più che “project management” a essere maggiormente utilizzato e ciò rappresenta tutt’altro che una sottigliezza. L’etichetta project manager, infatti, contraddistingue in qualche modo chi all’interno dell’organizzazione si occupa di coordinare e gestire un progetto. Il termine project management, invece, è relativo all’organizzazione, rappresentando in estrema sintesi una prassi, un modo di operare, fino a diventare in alcuni casi una cultura organizzativa esso stesso.
Parlare di project manager, quindi, significa identificare principalmente responsabilità individuali, esprimersi in termini di project management vuol dire invece riconoscere che il lavorare per progetti non è una responsabilità individuale, da assegnare unicamente al capo progetto, bensì una responsabilità collettiva, di cui deve farsi carico l’intera organizzazione. In questa prospettiva possiamo identificare tre categorie di attori sociali chiamati a esercitare una specifica ownership nei processi di project management: la committenza, responsabile delle decisioni di investimento e del varo di iniziative progettuali concretamente eseguibili [1]; il project manager, responsabile finale della corretta execution dell’intero progetto; le altre figure aziendali, tra cui in particolare i membri del team di lavoro, che devono essere responsabili della corretta execution delle porzioni di progetto o delle singole attività loro affidate [2].

L’evoluzione del ruolo: da condottiero a diplomatico
Occorre innanzitutto osservare che il contesto sociale in cui il project manager si trova a operare è mutato, anche profondamente, nel corso dell’ultimo decennio. La tipologia di stakeholder coinvolti a vario titolo nei progetti si è diversificata notevolmente; oggi più di ieri le imprese ricorrono alle logiche multi-fornitore, con la conseguente necessità di amalgamare abitudini diverse di lavoro e, non di rado, diverse culture.
Il team, poi, è sempre meno “fisico” e sempre più “logico”, ossia i componenti hanno in parte perso la caratteristica di essere “co-locati” e assegnati al progetto in modo univoco. Nella maggior parte dei casi, i componenti dei gruppi di lavoro operano a più progetti contemporaneamente, a volte prestando il loro contributo per pochi giorni e su attività ben specifiche, non di rado restando presso le loro sedi remote, senza aver mai l’occasione di incontrare di persona sia il project manager, sia gli altri componenti dell’equipe. Inoltre, per le caratteristiche tecnologiche e specialistiche che contraddistinguono molti progetti, il team è composto non più prevalentemente da “esecutori” ma, in modo più marcato che nel passato, da figure professionali che hanno una seniority e un riconoscimento aziendale pari se non superiore a quella del capo progetto.
In questo contesto appare quindi evidente che la metafora del condottiero, che crea spirito di corpo, anima di coraggio la truppa e la ispira ad azioni superiori, lascia sempre più il posto a quella del diplomatico, abile tessitore di trame relazionali e fine comunicatore. Un diplomatico moderno e attivo, naturalmente, che conosce il business dell’organizzazione e opera sul campo, sempre pronto a negoziare con gli interlocutori di progetto e in grado di influenzare le decisioni laddove non può decidere direttamente.
Da ciò emerge una figura che sa superare lo steccato ideologico della mera realizzazione del mandato, in grado di stabilire con il committente una relazione professionale sostanzialmente simmetrica, base indispensabile per discutere e negoziare il mandato stesso e, proprio per questo, capace di assumere in modo concreto l’ownership del progetto. In sostanza, parliamo di un project manager meno succube e “impiegato”, magari un po’ fuori dagli schemi e rompiscatole, ma più consistente e intraprenditore, di cui le aziende hanno estremo bisogno per migliorare sostanzialmente la performance dei loro progetti principali [3].
Un project manager, quindi, che fa leva sulle proprie caratteristiche personali e le sviluppa continuamente, allenandosi in alcuni casi a diventare nel tempo una figura professionale diversa, più propriamente manageriale. In questa accezione, il ruolo del project manager può anche essere inteso come una situazione di passaggio, una sorta di trampolino di lancio per transitare da posizioni tipicamente tecnico-specialistiche ad altre più direzionali.

Tre concetti cardine
Consideriamo quindi il project management come responsabilità organizzativa nell’ambito della quale il project manager rappresenta uno degli attori chiave anche se non l’unico e, per certi versi, forse non sempre il più importante. In questa prospettiva, risulta fondamentale stabilire dei principi di base che ispirino sia i project manager, sia gli altri stakeholder coinvolti nei progetti. Principi che devono essere consistenti e condivisi, tali in sostanza da armonizzare concretamente i principi e le pratiche di project management con lo spirito dell’organizzazione nel suo complesso.
A titolo esemplificativo e nell’ambito della figura specifica del project manager trattata in questo articolo, desideriamo proporre brevemente i concetti di Context, Anticipation ed Execution, che rappresentano alcuni cardini attorno a cui, in quello che chiamiamo un approccio Cmd [4], devono ruotare il modo di essere e l’operato del project manager.
Context: il project manager è la cerniera di raccordo fondamentale tra il progetto da realizzare e l’organizzazione, o meglio, le organizzazioni, che lo hanno deciso, che lo realizzeranno e che fruiranno dei risultati. In base a ciò, il project manager deve collaborare con la direzione nell’integrare il progetto con la strategia, la situazione e gli altri progetti e processi già presenti nell’azienda, supportando il committente nella costruzione di una visione comune del progetto da trasmettere a tutti gli stakeholder rilevanti e preparando e supportando l’organizzazione a vivere positivamente il cambiamento che il progetto stesso porterà. Nel fare ciò assume una rilevanza di primo piano la relazione e la comunicazione che il project manager stabilisce non solo con il team di lavoro, ma anche con tutti gli altri attori sociali che possono determinare il successo o l’insuccesso di un progetto molto più di una buona o cattiva pianificazione.
Anticipation: lavorare a progetto implica sovvertire una prassi molto diffusa che deriva dalla concezione fatalistico-reattiva dell’operare giorno per giorno, secondo la quale errori e imprevisti fanno parte della regola del gioco e sono inevitabili. Con questo termine, intendiamo un modo di essere e di concepire il lavoro, sia da parte del singolo individuo, sia per quanto concerne l’organizzazione nel suo complesso, che trova nel project manager il precursore per eccellenza. Anticipation non è quindi un mero insieme di “cose specifiche da fare”, bensì una sorta di forma mentis che ci porta a guardare e vivere le azioni che compiamo nel presente come qualcosa che è stato pensato prima e che provocherà effetti nel tempo. Un atteggiamento che serve per prevenire alcuni ostacoli e rendere più concreti e prevedibili i risultati da conseguire.
Execution: il project management è una disciplina relativa al “fare” e che quindi ha nella realizzazione una delle sue principali ragioni d’essere. Il nostro approccio concepisce l’Execution non come un processo tattico da demandare alle strutture prettamente operative, ma come un aspetto fondamentale dell’impianto strategico, in quanto condiziona in modo decisivo la reale fattibilità del progetto sin dalle fasi iniziali. L’Execution non è quindi il semplice tentativo di eseguire un mandato magari non fattibile, ma un processo che si snoda lungo l’intero ciclo di vita del progetto e che porta il committente a formulare idee plausibili, il project manager a discuterne e a negoziarne la fattibilità, gli altri attori sociali del progetto a preoccuparsi in modo attivo del loro ruolo e dei risultati che devono produrre. In questa prospettiva, il project manager ha il compito fondamentale di diffondere e supportare l’idea che l’Execution è una responsabilità collettiva e che tutti gli stakeholder coinvolti sono chiamati ad esercitare il giusto livello di ownership. Se qualcuno viene meno a tale principio, non deve rassegnarsi ma combattere perché ciascuno faccia la propria parte, ovviamente dando lui per primo il giusto esempio.

Conclusioni
Con questo articolo abbiamo inteso esaminare la figura professionale del project manager, sia in termini di situazione generale, contraddizioni incluse, sia per quanto concerne alcune possibili evoluzioni.
Fermo restando che ogni impresa ha caratteristiche, necessità e modelli di business propri e che pertanto non esistono risposte precostituite, possiamo concludere che la definizione del ruolo e dei compiti di una figura professionale complessa come quella del capo progetto costituisce una sorta di “dichiarazione esplicita di intenti” e comporta inevitabilmente la ridistribuzione, o addirittura il superamento, di alcuni poteri stabiliti all’interno dell’organizzazione.
Alcuni potranno sospettare una possibile riduzione del proprio raggio d’azione; altri avranno il timore che una maggiore affermazione del project management possa mettere in discussione le convinzioni e i valori sui quali fino a quel momento si è fondata l’identità degli individui e dell’organizzazione. Ma si sa, non esiste cambiamento senza qualche sana rinuncia.

Mario Damiani è program manager in Ncr e docente esterno di Istud

[1] Larry Bossidy e Ram Charan – Execution – Sperling & Kupfer Editori, 2004
[2] Rob Thomsett – Radical Project Management – Prentice Hall PTR, 2002
[3] Secondo Standish Group, il 97% dei progetti di successo è stato gestito da project manager esperti – The Chaos Report, 2000.
[4] Approccio CMD – Mario Damiani e Chiara Moroni, 1998-2006. Questo approccio, il cui nome deriva dalle iniziali dei nomi degli autori, ha animato e anima gli interventi consulenziali, le attività formative e i contributi letterari dei due autori, così come ha ispirato il contenuto del presente articolo

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