Che tipo sei? Leader, manager o gregario?

Essere efficienti e disporre di ottime risorse tecniche non è più sufficiente per garantire il successo di un’azienda. Le risorse umane rappresentano un asset strategico. I cio e i team it sono in grado di assumersi le responsabilità richieste al loro ruolo? Ecco, qui a destra, un questionario di self assessment da compilare per verificare la propria attitudine a essere leader, manager o gregari in questa complessa fase di trasformazione

Pubblicato il 09 Nov 2012

L’azienda di successo non può soltanto essere efficiente, né possedere unicamente ottime competenze tecniche. Con “leadership” intendiamo l’abilità di coinvolgere altri (colleghi, collaboratori, e anche capi) portandoli ad allinearsi con le nostre strategie: aziendali, certo, ma non solo. Applichiamo la nostra leadership – materia “soft” e calda, differente dalla managerialità gestionale, più “hard” e fredda – attraverso le persone e la cultura. La leadership va richiesta, diffusa ed esercitata a ogni livello gerarchico. È necessario affrontare i rischi che nascono da una visione forte e chiara di ciò che si intende perseguire. Le organizzazioni attuali, quelle che guardano al futuro e sono diventate esigenti, vogliono essere guidate e percorse da leader, sia al vertice che nelle funzioni intermedie. Oltre ad eccellenti conoscenze tecniche di settore, il successo è rappresentato da individui che posseggono qualità di comunicazione e relazione, autostima e controllo delle proprie reazioni, determinazione nell’analisi delle proprie lacune e voglia di evolversi.

Il manager al passato

C’era una volta il “manager”, il direttore, quello che stabiliva gli obiettivi dell’organizzazione (strategie), ne determinava le modalità di conseguimento (pianificazione), influenzava il comportamento dei dipendenti (motivazione), stava attento che le attività si svolgessero secondo i piani e le procedure (controllo), concedeva promozioni o revisioni dello stipendio (feedback).

La leadership di allora nasceva da due modelli basilari che interpretavano il lavoro: la gestione scientifica e la gestione relazionale. Due stili contrapposti ma omologati: il primo basato sulle procedure, sul rigore della produzione e delle strutture, con analisi e definizione formale delle mansioni, con scansione e controllo dei tempi e delle sequenze; il secondo orientato alla persona, all’apporto soggettivo delle competenze, alla collaborazione e alla relazione tra elementi sinergici.

Il tutto ha funzionato bene nei momenti di stabilità, quando l’andamento del business era piuttosto lineare, i problemi erano sempre dello stesso tipo, i ruoli erano chiari e rigidi, le responsabilità erano demandate ai vertici aziendali. La strategia a medio e lungo termine tracciava il percorso dell’azienda e la navigazione si svolgeva in un mare relativamente calmo. La leadership era soprattutto saggia e oculata amministrazione.

Il manager ai tempi del caos

Oggi le imprese galleggiano in mari molto più turbolenti, perciò anche i modelli di leadership vanno rivisti e adeguati. La leadership – una volta appannaggio degli strateghi – compete tutti, dai capi al vertice a chiunque sia parte del processo aziendale. In un ambiente difficile e poco stabile, soggetto a cambiamenti insistenti e repentini, vengono generati in continuazione problemi nuovi, diversi tra loro, imprevedibili. L’amnesia regna sovrana: nessuno coltiva il ricordo del buon lavoro fatto in passato. Tutto diventa urgente e importante, anche quando non lo è. L’incomprensione relazionale crea barriere inutili mandando in crisi non solo la strategia aziendale, ma tutto ciò che ruota intorno all’organizzazione, alla gerarchia e alla leadership strutturata.

Le imprese devono quindi reinventarsi elementi flessibili, sistemi aperti in cui logiche e soluzioni possano cambiare con facilità, dove le procedure e le modalità del lavoro siano variabili senza intoppi né incertezze.

Ci sono altre cose che cambiano: la motivazione al lavoro e sul lavoro, i valori e le aspettative delle persone. La piramide gerarchica si appiattisce (impresa “corta”) e si ramifica (impresa “a rete”); si evidenzia la necessità di decidere a tutti i livelli dell’organizzazione e fra tutti gli operatori aziendali. L’approccio alla gestione dell’impresa e allo stile di leadership vuole dare priorità ai processi, alle persone, alle competenze. Diventa importante il clima, l’ambiente, il gruppo, il rapporto trasversale e orizzontale, le linee di riporto a più “responsabili”.

Lo stile di leadership basato su ingegnerizzazione e controllo formale va in pensione. La capacità di comprendere, facilitare e incoraggiare i processi di auto-organizzazione diventa una competenza fondamentale del leader, e non solo. L’evoluzione tecnologica e l’automazione diventano i protagonisti del nuovo orientamento.

Un faro semovibile

Ora che il leader è costretto a guidare il suo gruppo nel mare in tempesta, deve comprendere profondamente sia le dinamiche esterne (mercato) sia quelle interne (organizzazione).

Il compito del leader non si limita a condurre la barca, deve anche tracciare continuamente la rotta e fare in modo che i compagni di viaggio siano sintonizzati sulla visione dell’itinerario. Le nuove organizzazioni sono obbligate a riconfigurarsi perché sconvolte dai processi di globalizzazione, dalla deregolamentazione e dal progresso tecnologico. Sono costrette a riprogettarsi e a trovare nuova identità nei valori, nei principi, nelle capacità e nelle competenze distintive. È un ambito più astratto che fisico, dove l’impresa è sempre più “virtuale” o “immaginaria”, i cui confini sono incerti e nebulosi, instabili e soggetti a continua ridefinizione.

Il classico dipendente a vita non esiste più, ma è sostituito da una sorta di nomade che trasporta il suo sapere e la sua professionalità attraverso i confini invisibili dell’azienda. E la motivazione, come la cataloghiamo? Come si convincono gli individui ad auto-motivarsi senza l’ausilio di denari sonanti e di benefit sempre più fantasiosi? Ormai è chiaro che la motivazione è una questione decisamente individuale. Nel senso che ognuno di noi è imprenditore di sé stesso e delle proprie capacità, da coltivare per produrre valore, pena l’obsolescenza professionale incombente. Ciascuno, quindi, in questo nuovo panorama lavorativo, è demandato alla realizzazione dei propri impegni, alla risoluzione dei propri problemi, alla decisione più adeguata per il proprio percorso di vita professionale (e personale), alla comprensione di ciò che avviene intorno.

Chi? Io?

La buona notizia è che siamo tutti un po’ leader, qualsiasi sia il nostro ruolo. Com’è fatto il leader ideale? Quali sono le competenze, le qualità, i comportamenti del bravo leader? E il manager, che fine ha fatto? Chi è il gregario?

Le aziende stanno investendo risorse formative, per rispondere a queste domande. Almeno, alcune aziende. Se riuscissero a trovare la risposta giusta, potrebbero forgiare il proprio leader “su misura” e non saprebbero più dove nascondere i tesori che accumulerebbero. La questione, invece, produce ulteriori domande: “Quale dovrebbe essere la cultura di leadership di questa specifica azienda?” ed anche “Come deve agire ogni leader per ottenere il successo, proprio e del gruppo che guida?”.

In realtà, qualsiasi stile di leadership deve comunque interfacciarsi con quattro filtri ben distinti: l’organizzazione, il ruolo, la situazione attuale, l’individuo. Di base, la leadership non esiste per se stessa. Esiste per raggiungere un risultato preciso in una condizione determinata, all’interno di uno specifico gruppo di persone.

L’organizzazione determina il filtro del profilo ideale del candidato leader, progettato in base agli obiettivi di business. Definisce quali sono le caratteristiche apprezzate all’interno di quel mondo aziendale, che si muove in quel mercato, che funziona con quelle attività comportamentali.

Il ruolo rappresenta un ulteriore filtro identificativo. Basta fare un semplice paragone tra un leader finanziario, un responsabile commerciale e un capo ricerca&sviluppo per capirne l’importanza.

La situazione attuale disegna un filtro temporaneo adatto al contesto di oggi; domani potrebbe richiedere nuove e diverse capacità.

L’individuo, con la sua personalità e le sue note caratteriali, offre un’infinita gamma di possibili leader, uno più carismatico e trascinatore dell’altro, uno più autorevole e fascinoso dell’altro. Individui diversi per diversi stili di leadership.

E quindi…

Il compito fondamentale della leadership consiste nel distinguere tra l’identità dell’impresa e le manifestazioni fisico-strutturali della stessa, farla evolvere in modo coerente e divulgarne i contenuti. La funzione del leader è quella di garantire che ogni ruolo all’interno del team sia coerente con la strategia aziendale, dare un senso di appartenenza all’organizzazione e aggregare gli elementi (umani e tecnologici) a sua disposizione.
Il leader intuisce e sceglie le opportunità, identifica i simboli e li comunica a tutto l’equipaggio, dirigendo la barca verso acque temporaneamente tranquille e floride, ricche di business e di soddisfazioni. Mentre coinvolge e si fa coinvolgere nel nuovo cambiamento, ridefinisce costantemente l’identità dell’impresa.

Leadership è visione e condivisione dell’immagine del futuro, è istigazione al movimento ed emersione di energia.

Scarica il questionario di self-assessment

* = Marina Fabiano è Executive Coach e Giornalista – www.coachmag.it

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