Digital360 Awards

Innovare, una necessità e tante possibilità concrete

Il momento conclusivo dei Digital360 Awards nel quale sono stati premiati i progetti vincitori dell’iniziativa è stato anche l’occasione per parlare di innovazione: non è semplice per le aziende reinventare i propri modelli di business attraverso il digitale, come oggi impone il mercato, ma esistono le condizioni per concretizzare percorsi sostenibili in questa direzione. Si tratta per l’It di accettare la sfida e capire quali sono i compiti legati al ruolo che i sistemi informativi devono assumere

Pubblicato il 26 Lug 2016

Fare emergere la cultura dell’innovazione in ambito digitale in Italia; questo l’obiettivo del contest Digital360 Awards, giunto il 7 luglio alla sua tappa conclusiva: premiati 16 dei 140 progetti innovativi candidati inizialmente, poi ridotti a 39 finalisti (le proposte sono arrivate sia da startup sia da noti brand del settore Ict), scelti da una giuria costituita da 50 Cio delle principali imprese e pubbliche amministrazioni italiane.

Il voto del pubblico

Il pubblico alla premiazione dei Digital360 Awards

L’evento, che ha visto ZeroUno, per il suo presidio storico della community Cio italiana, come riferimento primario del progetto Awards, è stato anche l’occasione per raccogliere un voto “popolare” da tutto il pubblico presente in sala che ha decretato vincitori tre progetti che ben rappresentano la varietà dei contenuti innovativi che ha caratterizzato gli Awards: terzo classificato BankSealer, soluzione per l’individuazione delle frodi nel campo del digital banking tramite la modellizzazione del comportamento degli utenti e l’associazione di un grado di anomalia a ciascuna transazione; secondo, Mathesia, una piattaforma realizzata in cloud per mettere a contatto le aziende alla ricerca di innovazione con professionisti (scienziati e matematici sparsi per il mondo) nell’ambito della modellistica, simulazione e data intelligence; primo, Jarvis (azienda Iooota), PaaS che permette alle aziende che producono beni fisici o servizi di profilare al meglio i propri clienti e garantire un’offerta sempre più mirata.

Cio catalizzatore di innovazione: il Chief Intrapreneurship Officer

Mariano Corso, Direttore Scientifico, Partners4Innovation.

Il dibattito durante le tavole rotonde e gli interventi dei relatori hanno fatto emergere interessanti riflessioni su come le aziende stanno muovendosi in un mercato che impone alle imprese di rinnovarsi (pena la mancata competitività), ma offre anche i mezzi per farlo: “Durante questa iniziativa sono stati proposti progetti straordinari con tempi di realizzazione incredibili e costi ragionevoli, fino a poco tempo fa impensabili; iniziative che davvero riescono a dare al business un contributo concreto”, dice Mariano Corso, Direttore Scientifico, Partners4Innovation.
Andrea Rangone, Ceo, Digital360 ha sottolineato l’attuale fase evolutiva della figura del Cio giocando sull’acronimo e ribattezzandolo Chief Intrapreneurship Officer a sottolineare la nuova anima imprenditoriale che questo deve avere: “Il Cio diventa un catalizzatore di innovazione che non è solo evolutiva, di trasformazione dei sistemi, ma anche imprenditoriale”: questi deve in sostanza riuscire a intuire le possibili implicazioni delle trasformazioni tecnologiche sul modello di business dell’impresa e sui suoi sviluppi imprenditoriali.

Andrea Rangone, Ceo, Digital360

Concorda Stefano Mainetti, Ceo, Polihub che sottolinea quanto i sistemi informativi debbano oggi imparare a rischiare, a fare esperimenti, a tentare strade nuove, atteggiamenti tipici dell’imprenditore; quindi ha commentato, a proposito dell’incontro del mondo dell’impresa tradizionale con quello delle startup: “Queste non distinguono tra business e direzione It, ma sono per definizione il business gestito attraverso l’It: chi fa il prodotto e scrive software è la stessa persona che il giorno dopo lo testa, fa delle metriche e lo vende”. Le startup hanno una cultura sperimentale e collaborativa completamente diversa da quella delle aziende tradizionali, che per motivi storici ha partizionato la gestione dell’attività in silos organizzativi: “La vicinanza delle prime alle altre sta innescando un cambiamento culturale interessante ed evidente”, dice Mainetti, che sottolinea quanto sia utile alle aziende tradizionali anche la cultura tipicamente analitica, orientata al dato delle start up, spesso carente nelle prime.

L’importanza del dialogo

Da sinistra: Milo Gusmeroli, Responsabile Servizi organizzativi sistemi informativi e sicurezza e Vicedirettore generale, Banca Popolare di Sondrio; Luciano Guglielmi, Cio, Gruppo Mondadori; Roberto Burlo, Head of Information Systems – Country Italy, Generali; GalaLab; Massimo Rosso, Direttore Ict, Rai-Radiotelevisione Italiana; Umberto Stefani, Group Cio di Chiesi Farmaceutici; Stefano Mainetti, Ceo, Polihub,

Umberto Stefani, Group Cio, Chiesi Farmaceutici insiste sull’importanza del dialogo come condizione indispensabile per poter fare innovazione: “L’Ict da solo non può portare avanti questo tema [supportare le strategie aziendali attraverso l’innovazione digitale – ndr] nei confronti dell’azienda: ci manca la competenza necessaria sul business, i processi, i prodotti. Per questo abbiamo messo intorno a un tavolo la ricerca e sviluppo, il marketing e l’It per capire come muoverci”. Stefani ci tiene però a sottolineare: “Non è un comitato operativo: i progetti che identifichiamo rimangono all’interno dell’azienda, nei vari dipartimenti; non credo in organizzazioni parallele che si muovono in maniera dissociata rispetto al resto dell’impresa”. Massimo Rosso, Direttore Ict, Rai ha sottolineato quanto i fenomeni della digital transformation siano caratterizzati da una crescita esponenziale, e non lineare, che li rende poco percepibili nelle fasi iniziali, ma molto difficili da controllare in quelle successive. Roberto Burlo, Head of Information Systems – Country Italy, Generali nota il cambiamento anche dal modo in cui l’azienda per la prima volta guarda all’It, “come elemento dirimente nel decidere la sorte di Generali da qui a 5 anni”, quindi tocca il tema del legacy: “La difficoltà nasce dal fatto che l’innovazione si innesta da un punto di vista architetturale su una filiera che ereditiamo dal passato e che dobbiamo fare evolvere”.

Da sinistra: Vincenzo Brusaporci, Chief Operating Officer; Piera Fasoli, Direttore dei Sistemi Informativi, Gruppo Hera; Roberto Fonso, Cio, Banca Popolare di Milano; Fabrizio Rauso, Chief Digital Officer, Sogei; Gabriele Raineri, Chief Information & Digital Officer, Engie Italia; Debora Guma, Cio, Carrefour Italia; Andrea Rangone, Ceo, Digital360;

Altri presenti hanno poi evidenziato come il Cio non possa oggi avere un ruolo distinto dal Chief Digital Officer: “Un Cio, nel futuro, potrà non essere un profondo conoscitore della trasformazione digitale?”, chiede Luciano Guglielmi, Cio, Gruppo Mondadori. Altri ancora sottolineano quanto l’elemento digitale nella strategia aziendale sia ormai da dare per scontato: “Si deve mettere il digitale al centro dell’azienda: il mio obiettivo è arrivare a eliminare l’aggettivo stesso ‘digitale’, inutile in un’impresa che è tutta digitale”, dichiara Fabrizio Rauso, Chief Digital Officer, Sogei. Sfidante infine la riflessione di Piera Fasoli, Direttore dei Sistemi Informativi, Gruppo Hera: “Noi mettiamo l’intelligenza nelle cose, ma la vera sfida è poi riuscire a essere più intelligenti di queste stesse cose: dobbiamo essere in grado di gestire una complessità e una eterogeneità di oggetti intelligenti, governandoli in modo efficace ed efficiente”.

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