Ict, cosa cambia dopo la Brexit

Calo degli investimenti Ict in Uk con ripercussioni sulla spesa Ict europea e globale, perdita di talenti e mancanza di attrattività agli occhi degli investitori finanziari e delle start-up… Altro che Brexit! Quello che si prospetta è uno scenario di “Techxit”, per il Regno Unito. E qualche altro paese potrebbe anche beneficiarne!

Pubblicato il 04 Lug 2016

Abbiamo atteso qualche giorno per approfondire con alcuni analisti europei le conseguenze post referendum Brexit, che ha visto il 52% dei cittadini del Regno Unito votare a favore dell’uscita dall’Unione Europea.

Cominciamo dalle cifre. Dalla sfera di cristallo degli analisti Gartner escono numeri piuttosto sconcertanti dato che si stimano perdite in termini di investimento tecnologico di circa 4,6 miliardi di dollari, oltre al fatto che la volatilità che caratterizza oggi la moneta Uk potrebbe spingere i vendor americani ad alzare i prezzi delle loro soluzioni e servizi.

La ‘catastrofe’ in numeri

John Lovelock, Research Vice President di Gartner

Dopo il voto a favore della Brexit gli analisti Gartner hanno immediatamente rivisto le proiezioni relative alla crescita del mercato It in Uk: “per il 2016-2017 c’era una stima di crescita del mercato It di oltre il 2%, con un valore di business complessivo di 183,1 miliardi di dollari [anche se si tratta di mercato Uk le stime e le valutazioni economiche vengono sempre riportate in dollari – ndr] – ammette John Lovelock, Research Vice President di Gartner il quale, tra le righe, ci fa intendere che, nonostante nei mesi scorsi abbiano lavorato, come analisti, alla revisione delle stime economiche in previsione del post referendum, nessuno tra di loro si aspettava realmente un esito del genere. “Dopo la caduta a picco della sterlina – continua l’analista – e gli effetti sulle Borse, prevedendo forte turbolenza anche nei prossimi mesi, crediamo che la spesa complessiva non riuscirà a raggiungere i 179 miliardi di dollari”.

Laura Koetzle, Analista, Forrester

L’analista si lascia anche sfuggire che i vendor contattati da loro subito dopo il referendum si sono detti davvero molto preoccupati per i possibili effetti negativi, e c’è da crederci se si pensa alle difficoltà che ne possono conseguire sul fronte della libera circolazione delle merci in un mercato Uk che dal punto di vista It rappresenta ben il 26,5% della spesa totale dell’Europa dell’ovest (ed il 5,26% della spesa It a livello globale).

Benjamin Ensor, Analista, Forrester

Le ragioni di tale ‘catastrofe’ in termini numerici, secondo gli analisti di Forrester Laura Koetzle, Benjamin Ensor, Martin Gill e Pascal Matzke sono da identificare nel fatto che “l’incertezza e le inattese conseguenze provocate nel breve periodo – di cui si sono visti i primissimi effetti con la svalutazione della moneta e la risposta negativa delle transazioni azionarie nelle quotazioni delle Borse non solo europee ma anche asiatiche e Usa – renderanno piuttosto duro per le imprese Uk attrarre clienti e talenti”.

Martin Gill, Analista, Forrester

Eppure, “sebbene la volatilità dei mercati generi panico e porti le aziende a tagliare i costi e ridurre le iniziative rivolte ai clienti, è proprio in questi momenti che bisognerebbe guidare l’innovazione”, scrive Laura Koetzle sul suo blog provando ad infondere un po’ di ottimismo e coraggio.

L’occhio degli investitori

Pascal Matzke, Analista, Forrester

Nell’ultimo ventennio Londra è diventata una vera e propria calamita per gli imprenditori del mondo Tech perché vista come ‘bacino’ ideale non solo per fare affari in Europa ma come trampolino di lancio per la conquista di mercati globali, guardando agli Usa come approdo primario. Basti pensare che metà dei fondatori delle top Tech start-up londinesi non proviene dal Regno Unito, secondo quanto riportato da CBInsights, società americana di venture capital e angel investment database che riporta analisi e informazioni su fondi, investimenti e movimenti di capitale (acquisizioni, fusioni, start-up, ecc.) a livello globale. Dai dati della società emerge infatti che un terzo dei recenti investimenti europei da parte dei venture capitalist sono stati indirizzati verso start-up di natura tecnologica con sede nel Regno Unito. “Solo nel primo trimestre 2016, le imprese con targa Uk hanno ottenuto finanziamenti per 1,3 miliardi di dollari (984 milioni di sterline), contro i 2,2 miliardi di dollari distribuiti in tutto il resto dell’Europa”, si legge nei report di CBInsights.

Adrian Drozd, Research Director Digital Transformation di Frost & Sullivan

Il settore tecnologico rappresenta circa il 10% del PIL del Regno Unito ed è una delle voci in più rapida crescita dell’economia nazionale. Con una vivace comunità di start-up, compresa una forte attenzione all’ambito Fintech, Londra è ampiamente nota come la capitale digitale d’Europa. Prima del referendum del 23 giugno, diversi sondaggi condotti tra i dirigenti di aziende tecnologiche puntavano a una forte preferenza a restare parte dell’UE, con il conseguente accesso a personale qualificato, possibilità di concludere affari migliori grazie alle relazioni commerciali in tutta Europa, e benefici in termini di finanziamenti disponibili”, commentano a riguardo anche Ajay Sule, Practice Director EIA, e Adrian Drozd, Research Director Digital Transformation di Frost & Sullivan. “Anche se la Bank of England non ha tardato a dichiarare i piani che intende attuare per sostenere il settore dell’economia e dei servizi finanziari nel Regno Unito, ci saranno delle difficoltà relative alla possibilità di ottenere credito e finanziamenti, specialmente per le start-up. Il Fondo Europeo per gli Investimenti (EIF) è il principale investitore nelle società di venture capital nel Regno Unito; che questo flusso di finanziamenti resti inalterato, e per quanto tempo, è un grande punto interrogativo”.

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