Dall’e-mail ai nuovi strumenti collaborativi. Come gestire l’informazione

Come districarsi nella montagna di informazioni che via e-mail, ma anche con messaggi istantanei o blog o altre forme di comunicazione e collaborazione, giungono oggi sui nostri desktop? Quali problemi, in termini di security e governance, si generano per le imprese da questa inevitabile apertura alle tecnologie collaborative da parte delle persone dell’azienda? Una lunga e interessante intervista a Regina Casonato di Gartner ci consente di individuare le aree più critiche e trovare le possibili soluzioni.

Pubblicato il 01 Dic 2006

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È facile “non sentirsi a proprio agio” nell’accesso a un’informazione che sta nell’e-mail. Ma può consolare il pensiero di essere in buona compagnia: numerosi studi ci dicono che in azienda si genera una media di 0,8 Gb di dati al giorno a persona e si ricevono dai 25 ai 30 messaggi utili, con una “tassa” di 1 o 2 ore al giorno per gestirli. Anche ignorando l’aggravio della dispersione di informazioni rilevanti in repository inaccessibili o non facilmente fruibili, c’è la crescita della massa di informazioni aziendali potenzialmente disponibili tout court, che porta al paradosso della carenza di informazioni rilevanti consumabili. Questo perché viene travolto il limite della nostra capacità di consumo efficace: come se un motore di ricerca mi desse 2000 occorrenze tutte rilevanti e non trovassi più criteri di filtro: cosa faccio, me le leggo tutte?
Si pone quindi il problema di una fruizione performante dell’informazione. E la domanda di performance si decompone anzitutto in: domanda di accesso ai contenuti in generale (l’e-mail è solo il caso più eclatante); domanda di accesso integrato ai repository individuali e aziendali di pertinenza; e infine domanda di localizzazione e collaborazione con l’esperto che può o potrebbe avere l’eventuale risposta mancante.
Serve oggi una riflessione approfondita sui problemi da fronteggiare per un’azienda che punta a un accesso integrato all’informazione, individuale e aziendale, che sia produttivo, sicuro e in tempo reale. Il quadro di un posto di lavoro che offra consumo performante di informazioni si compone naturalmente di tecnologia, best practice e decisioni organizzative che riguardano in primis i sistemi informativi. Al solito, la tecnologia (o meglio, l’insieme di tecnologie disparate) che serve – anche dando un’occhiata all’“hype cycle per la comunicazione e la collaborazione” di Gartner è in media abbastanza matura.

Come tecnologie si parla di “searchability” dei dati, di presence (ossia l’informazione relativa allo stato corrente – presenza o meno online – dell’utente), di active archiving nello storage in genere e nell’e-mail in particolare; di sicurezza per gestire vulnerabilità e dispersione dei dati nei posti di lavoro e indirizzare tutti i complessi “rispetti” (di confidenzialità, di privacy, conformità a normative esterne o interne che siano); di business intelligence che da dominio di pochi esperti si renda disponibile ai singoli utenti business, conferendo loro maggior capacità decisionale o di performance dipartimentale, identificando metriche critiche; e infine di portale per l’integrazione di dati aziendali o magari di workflow o di presence per il coinvolgimento di colleghi esperti nella propria attività. Scontata la scelta del best of breed nelle tecnologie, le criticità su cui l’azienda può e deve ragionare sono, da un lato, best practice e metodologie per rendere i posti di lavoro efficaci nel consumo di informazioni rilevanti e, dall’altro, le implicazioni organizzative (alcune che reclamano l’attenzione urgente dei sistemi informativi) se si vuol governare un equilibrio tra opportunità da non perdere e rischi inesorabilmente associati. L’unica opzione da scartare a priori è quella di lasciare che gli utenti si arrangino, e che la “consumerizzazione” dell’It avanzi per conto proprio in azienda, certamente con benefici, ma anche con rischi di creare situazioni fuori controllo.
Per approfondire le implicazioni che in azienda hanno queste tematiche, ZeroUno ha intervistato Regina Casonato, country leader di Gartner in Italia e VP Gartner per la ricerca, che dirige proprio il team di ricerca internazionale sul posto di lavoro ad alta performance, che Gartner chiama High Performance Workplace o Hpw.

Per un’informazione individualizzata un nuovo posto di lavoro

ZeroUno: Hpw o il posto di lavoro ad alta performance: è una nuova concezione del posto di lavoro? Oltre che dalla fruizione efficace dell’informazione individuale e aziendale, che interessa all’utente, da cosa è spinta in generale?
Casonato: Dal cambiamento, di contesto operativo e di tipo di attività delle persone. Sul contesto operativo, vent’anni fa le persone lavoravano all’interno di un’organizzazione – e avevano una scrivania, un telefono e un desk top. Oggi, le persone lavorano per un’organizzazione ma non necessariamente o stabilmente all’interno. Le attività delle persone evolvono al di là del tradizionale lavoro strutturato e di esclusivo orientamento produttivo, verso forme creative: concepire un nuovo prodotto, lavorare a un piano marketing, fornire a un cliente un servizio adeguato, tipicamente lavoro in team, esigenza di una continua evoluzione di competenze ed esperienze. L’It deve riconoscersi una trasformazione di ruolo, spostando gli investimenti sul posto di lavoro dal supporto delle sole attività strutturate per massimizzarne l’automatizzazione, al supporto anche delle nuove esigenze che implicano creatività, imprenditorialità, decisioni da prendere, mutando la concezione stessa del posto di lavoro. Serve una High Performance Workplace in cui, in risposta ai nuovi tipi di lavoro, cambiano il concetto di accesso all’informazione e gli strumenti a disposizione: i sistemi di comunicazione e di accesso all’informazione continuano a supportare attività di tipo strutturato ma anche attività destrutturate. Le abbiamo identificate e classificate in cinque categorie: “Discovery” dell’informazione, Collaborazione, Leadership, Innovazione (supporto di nuove idee e iniziative) e Formazione continua.

ZeroUno: Quali tecnologie allora per il supporto di queste attività destrutturate nell’Hpw?
Casonato: Al posto di tavolo, telefono e computer, e al di là delle soluzioni hardware e software, c’è tutta una serie di strumenti orizzontali per accesso all’informazione e ai dati e collaborazione, che diciamo spettare al nuovo posto di lavoro come “diritti di nascita”: posta elettronica, servizi di collaborazione, servizi di accesso alle informazioni (Desk-top search) per risolvere il paradosso tra la mole di informazioni teoricamente a portata del posto di lavoro e la possibilità di ricerca (e di accesso reale) insoddisfacente. C’è poi l’Instant Messaging, servizio comunicazione punto a punto o in gruppo in tempo reale, un portale per l’accesso all’informazione aziendale, un motore di ricerca a livello sia generale che desktop, la presence che per l’Hpw significa possibilità di ricorrere all’expertise location [ricerca di esperti interni o esterni all’azienda ndr], servizi per lavorare in comunità (per esempio in workspace o in team rooms), il servizio di gestione del contenuto (Basic Content Services) e il servizio di e-learning. Sopra questi servizi, nell’Hpw ce ne saranno altri legati all’attività specifica verticale: per esempio un ambiente di Cad/Cam per un ingegnere che si occupa di automobili. Ma è fondamentale siano disponibili orizzontalmente a tutti i servizi che abbiamo definito come “diritti di nascita”. Come sono fondamentali nell’ Hpw la partecipazione al social network (l’utente contribuisce a discussioni, per esempio come blogger, per avere di ritorno il beneficio di un’intelligenza collettiva a supporto delle decisioni da prendere) e un forte livello di personalizzazione nel definire le proprie fonti informative e le modalità con cui interagisce. Qui il modello è Folksonomy [categorizzazione collaborativa di informazioni mediante l’utilizzo di parole chiave scelte liberamente ndr] di Web 2.0 ossia la possibilità di far definire direttamente agli utenti le modalità con cui classificare le informazioni. La classificazione sulla intranet aziendale è lasciata definire bottom-up all’utente, in linea con il nuovo approccio del Web 2.0 per cui gli utenti passano dalla semplice consultazione di informazioni alla possibilità di contribuire popolando e alimentando il Web con propri contenuti.

ZeroUno: Allora è a questi servizi orizzontali dell’Hpw che è affidata l’informazione individualizzata ed efficace?
Casonato: C’è in più un fattore abilitante di profonda trasformazione: la convergenza in atto nell’information management fra mondo dell’informazione strutturata, cui sono applicabili strumenti di business intelligence, e mondo dell’informazione non strutturata (documenti, pagine Html, contenuti dell’e-mail), sicché l’informazione ormai viene vista come un continuum. Ciò perché i due mondi, cresciuti indipendentemente, si stanno “riconnettendo”: è ora possibile descrivere dati e informazione non strutturata, per esempio in documenti, con Xml e metadati, che poi sono utilizzabili per ricercare queste informazioni.
Strumenti di accesso all’informazione e motori di ricerca permettono ormai di estrarre informazioni indifferentemente da repository sia strutturati che non. Per l’utente la “searchability” non più limitata ai dati strutturati significa che, usando per esempio parole chiave, può fare ricerche in repository di dati non strutturati come posta elettronica, instant message archiviati o sulla intranet. Così si può espandere e integrare la vista e l’accesso dell’utente in tutta una serie di dati in repository diversi (si veda la figura).
La convergenza della ricercabilità su repository di dati, strutturati e non strutturati, significa un’applicabilità estesa nell’Hpw anche per la business intelligence.

ZeroUno: La business intelligence disponibile nell’Hpw?
Casonato: Proprio così, sicché da dominio di pochi esperti vediamo la business intelligence diventare sempre di più uno strumento reso disponibile alle persone per il supporto decisionale e per governare le performance di un dipartimento o di un’organizzazione, identificando metriche critiche. L’utente Hpw sarà al 90% un utente business, che si avvarrà di due concetti forti: disponibilità di accesso all’informazione indipendentemente da dove l’informazione arriva, come era archiviata, o come è stata creata; libertà di consumo, avvalendosi della forte capacità di personalizzazione in Hpw, l’utente si focalizzerà su come consumarla, la potrà costruire attraverso una combinazione di accessi all’applicazione e a risorse informative definite dall’utente.

ZeroUno: Potremmo quindi dire virtualizzazione dell’informazione o del dato d’impresa…
Casonato: Virtualizzazione sicuramente rispetto alla sua origine e individualizzazione dell’informazione al consumo. Prima chi consumava informazione non poteva farlo che nella forma decisa in modo irreversibile dal creatore (se creata su pagina Html doveva essere consumata su pagina Html); adesso è possibile creare l’informazione adattandola al formato più idoneo a chi la deve consumare. Una scissione completa fra contenuto e contesto, col contenuto libero di navigare fra contesti, e un altro passo avanti nella libertà di consumo dopo l’ipertesto, che ha consentito di accedere a un’unità di informazione (un paragrafo) senza “comprare tutto il libro”.

ZeroUno: E la disponibilità di informazione per decisioni in tempo reale?
Casonato: Qui ci colleghiamo al concetto di presence e di expertise location, che, ove l’informazione individualizzata non bastasse per la mia decisione, mi consente di collegarmi in tempo reale con la persona che ritengo mi possa dare un contributo.

ZeroUno: Tempo reale, oltre che nell’ottenere informazioni, anche nel passare azioni ad altra Hpw, per esempio con Enterprise Service Bus nel quadro di una Real Time Enterprise?
Casonato: Il quadro è proprio quello di un’impresa dove, se rilevante, si attivano dei meccanismi di Rte: il servizio di presence deve essere reso disponibile e le persone devono essere riconoscibili attraverso questo servizio. Dunque anche l’esperto o chi prende la decisione o l’azione finale deve aver disponibile il servizio per essere localizzato, per esempio su cellulare o desktop. Ciò significa andare verso un’infrastruttura che permette di avere una serie di servizi Hpw utilizzabili in tempo reale o quasi.

ZeroUno: Una bella visione…
Casonato: Attenzione, volenti o nolenti, siamo già su questa strada. Lavoriamo in modalità dispersa e per di più mobile. E gli utenti non aspettano l’infrastruttura che rende disponibile i livelli di servizi dell’Hpw. Instant messaging e Desk top search tipicamente “invadono l’Hpw” dal mondo consumer, scelti come sono dagli utenti, che anticipano le decisioni dell’It: è questo un aspetto della “consumerizzazione dell’It”, che non si può assolutamente ignorare in sede di organizzazione e governo It dell’Hpw.

ZeroUno: Il che ci porta dritti alla sicurezza da indirizzare, provocatoriamente annotando che la prima best practice sembra un bel programma di consapevolezza per i Cio sul fenomeno della consumerizzazione dell’It.
Casonato: Certo. L’azienda non può più vedersi come entità isolata, ma nel contesto allargato del proprio ecosistema di relazioni, con clienti, partner, fornitori, e ora anche con utenti, portatori di due nuovi fenomeni: da un lato individualizzazione dell’informazione e dall’altro consumerizzazione dell’It. Come gli altri, anche questo allargamento di contesto va governato puntando a un equilibrio fra opportunità da cogliere e rischio da controllare. Spetta all’It riflettere su quali strumenti vengono resi disponibili, con che filtri e modalità, ed emettere best practice che contemplino le diverse eventualità. Parliamo di aderenza alle normative interne o esterne che l’organizzazione si dà. Diamo per scontata l’attenzione all’Identity Management, per identificare e riconoscere gli utenti Hpw. È nella massa di informazioni disponibili che, oltre al paradosso della carenza di informazioni rilevanti consumabili, si cela il rischio di violazioni consapevoli o meno delle norme. Le indagini suggeriscono che il 30% dei dati delle corporation sta su file Excel: un rischio micidiale che espone non solo a manipolazioni intenzionali ma ad errori di manovra involontarie (un cut and paste sbagliato). Il filo rosso comune da seguire in tutti questi aspetti di sicurezza è che non vale chiudere la porta di casa e lasciare il mondo fuori: vale solo creare condizioni di sicurezza, dal punto di vista del sistema e della educazione degli utenti, severe o flessibili, purché commisurate al bilanciamento tra opportunità da cogliere e rischio da controllare.

ZeroUno: Quali allora le best practice raccomandate?
Casonato: Serve in primis una visione architetturale dell’informazione potenzialmente utile, che permetta di descrivere dove l’utente Hpw trova i dati, la modalità (metadati) con cui li accede e come funzionano i servizi di compliance alle policy aziendali implementati nell’Hpw. Un esempio può essere quello della figura, che include le tecnologie di collaborazione come parte della pila software dell’Hpw.

In estrema sintesi, la figura esprime come l’informazione individualizzata consumata nell’Hpw viene assemblata: sarà alla fine il risultato di un’integrazione dei dati individuali con quelli aziendali resi disponibili in generale da repository federati (con la vista allargata sul continuum di informazione strutturata e non strutturata); ma il tutto sarà sempre integrabile con quello che le persone conoscono, attraverso servizi e pratiche di collaborazione. Il che si traduce nell’esigenza di trovare gli esperti in base alla loro presenza online: fatta una ricerca in Gartner, per esempio, sugli strumenti di firewall, una volta che il sistema mi ha dato tutto quanto abbiamo pubblicato sul firewall e io non trovo ancora risposte che mi soddisfano completamente, so che posso chiamare un mio collega a Londra che è il guru dell’argomento. E, di più, so che posso e devo non limitarmi all’interno della mia organizzazione, ma estendere la ricerca al social network cui dal mio Hpw partecipo.

ZeroUno: Altre best practice e/o azioni per il governo It dell’infrastruttura Hpw
Casonato: Primo, occorre stabilire le modalità preferite con cui le persone accedono a sistemi e repository di archiviazione, che l’architettura prevede; e promuovere gli strumenti collaborativi più adatti allo scopo che devono servire. Per esempio, l’e-mail non è indicata in una collaborazione progettuale: genera copie dello stesso oggetto che i destinatari possono girarsi aumentando esponenzialmente i rischi di disallineamento; e fatica a tener traccia di ciò che avviene nella collaborazione. Molto più appropriato in attività di forte collaborazione un ambiente Treamware basato su un Workspace: chi partecipa vede sempre lo stato dell’arte e il percorso fatto in un unico luogo. Ancora, Wiki [siti che consentono a ciascuno dei suoi utilizzatori di aggiungere contenuti, ma anche di modificare i contenuti esistenti inseriti da altri utilizzatori ndr] o WebConferencing, sono in certi contesti, di social network ma non solo, più efficaci di e-mail. Secondo, serve spingere gli strumenti che rendano l’informazione di tipo non strutturata processabile (e utile alla business intelligence) anche facendo leva sulla maturazione di Xml e, in genere, intervenendo perché certe attività possano essere modificate in modo da produrre documentazione di formato più standard. Infine, garantire ai fini della compliance alle varie normative, che gli utenti dell’Hpw abbiano una serie di regole da seguire.
Parlando di individualizzazione dell’informazione, infine, un effetto rilevante è quello demografico. Stiamo seguendo come cambia la popolazione dei lavoratori che entra in azienda: le generazioni alle porte, che non sono “vissute” relazionalmente prima di Internet. Gli universitari di oggi sono molto più in grado di collaborare virtualmente in team dispersi. Entro un decennio le aziende avranno a bordo persone con tre caratteristiche: grandissima flessibilità e corrispondente molta maggior agilità e capacità di risposta alle richieste; aspettative sugli strumenti da utilizzare (palmari, cellulari, spazio e blogging su MySpace e così via); aspettative mutate sui modelli di impiego (diversa sensibilità all’impiego a tempo determinato, oltre che indeterminato, rispetto alla popolazione attuale).

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