Big Data Journey, il difficile percorso delle aziende italiane

Il mercato cresce. Nelle intenzioni è la principale priorità di investimento e si rileva un interessante percorso di introduzione di nuove figure, ma risulta ancora limitata la definizione di una strategia
che conduca l’azienda verso la big data enterprise.
Sono le principali evidenze del’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence 2015 del Politecnico di Milano

Pubblicato il 08 Gen 2016

Mercato vivace. Principale priorità di investimento. Nuove figure di data governance.

Sono queste le tre evidenze che emergono in prima battuta dai dati 2015 dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, presentati nelle scorse settimane a Milano e che si basa su diverse tipologie di analisi: due survey online condotte su 91 Cio di grandi imprese italiane e 160 C-level appartenenti alle linee di business; approfondimenti de visu, telefonici o diretti con realtà ritenute particolarmente rilevanti; un censimento delle startup nazionali e internazionali operanti in questi ambiti e che hanno ricevuto finanziamenti dal 2012 a oggi; analisi di oltre 100 player dell’offerta.

Figura 1 – Mercato Big Data Analytics e Business Intelligence – fonte: Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, 2015

Venendo alla concretizzazione della prima evidenza, stiamo parlando di un mercato che vale in Italia 790 milioni di euro con una crescita complessiva del 14% sull’anno precedente (figura 1) dove, a fronte di una predominanza in termini assoluti delle soluzioni di Business Intelligence (che rappresentano l’84% del totale, realizzando un +11% sul 2014), si ha una crescita molto più robusta delle soluzioni per l’analisi dei big data che registrano un +34% sull’anno precedente.

Il secondo dato importante emerso, è che per ben il 44% dei Cio italiani l’insieme di soluzioni per Business Intelligence e Big Data Anlytics rappresenta la principale priorità di investimento.

Terza evidenza, infine, l’introduzione in azienda di figure in grado di perseguire modelli evoluti di data governance, come il Chief Data Officer, e nuove figure professionali come il Data Scientist. La prima, che possiede un insieme di competenze tecniche, di business e soft skill (ossia quelle cosiddette “competenze trasversali” che raggruppano le qualità personali, l’atteggiamento in ambito lavorativo come leadership, capacità di lavorare in team, problem solving e l’efficacia relazionale), si occupa principalmente della gestione delle funzioni aziendali correlate alla gestione e alla valorizzazione dei dati come asset strategico aziendale; dai dati dell’Osservatorio si tratta di una figura presente nel 26% delle grandi aziende italiane.

Figura 2 – I principali fruitori di Big Data Analytics in ambito aziendale – fonte: Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, 2015

La seconda, il Data Scientist, è una figura professionale interdisciplinare (competenze informatiche, matematico-statistiche e di business) che ha il compito di estrarre informazioni, modellizzare problemi complessi e identificare opportunità di business attraverso l’analisi dei dati ed è presente nel 30% delle aziende (ricordiamo che stiamo parlando di 91 tra le top aziende italiane). È poi interessante il fatto che diminuisce il numero delle imprese che non hanno intenzione di inserire figure di questo tipo, alle quali, comunque, laddove presenti non viene trasferita la responsabilità delle attività di controllo e gestione dei sistemi di analytics che rimane in mano al Cio o a un It decision maker (52%) o al Business Intelligence Manager (22%). Fa da contraltare a questa evidenza, il dato del Rapporto Digital Innovation Academy 2015 (sempre del Politecnico di Milano su un campione di 231 Cio di imprese medio-grandi italiane) che rileva come per il 22% dei Cio il tema delle competenze per la gestione dei big data sia considerato prioritario, nel 2016, tra le sfide organizzative più rilevanti per la trasformazione digitale delle imprese.

Quali dati trattati e chi li usa
Non ci dilunghiamo sull’individuazione dei principali fruitori di Big Data Anlytics, tema sul quale rimandiamo alla figura due e alla lettura dell’intervista rilasciata in anteprima a ZeroUno da Carlo Vercellis, Full Professor of Computer Science al Politecnico di Milano e Responsabile dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence, pubblicata sul numero di novembre (e sul www.zerounoweb.it “Big Data per competere e per non correre rischi”), dove questo tema è stato in particolare approfondito e sviscerato.

Preferiamo quindi focalizzarci sulla tipologia di dati trattati, tema che ci permette di introdurre una importante precisazione che gli estensori della ricerca hanno voluto fare a introduzione dell’intero lavoro: “Il termine big data, di cui spesso si tende ad abusare, si riferisce in letteratura a un dataset la cui dimensione va al di là della capacità di un database tradizionale di catturare, memorizzare, gestire e analizzare i dati, e identifica caratteristiche proprie di questi dati quali volume, velocità, varietà, veridicità e variabilità. Il volume fa riferimento all’ingente massa di dati generata attraverso numerosi canali; la velocità si riferisce alla rapidità con cui i dati vengono acquisiti e utilizzati; la varietà è legata alle differenti tipologie di dati disponibili provenienti da un numero crescente di fonti di dati sia strutturati sia non strutturati, sia interni sia esterni alle organizzazioni; la veridicità fa riferimento alla qualità dei dati e alla loro affidabilità, la cui garanzia rappresenta una sfida molto importante; la variabilità è legata al fatto che il significato o l’interpretazione di uno stesso dato può variare a seconda del contesto in cui il dato stesso viene raccolto ed analizzato”.

Figura 3 – Scomposizione dei dati utilizzati dalle organizzazioni italiane – fonte: Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, 2015

Come si vede in figura 3, la presenza di dati strutturati continua ad essere prevalente in azienda. Ma la ricerca evidenzia un altro dato che deve far riflettere: sebbene la mole dei dati nel mondo raddoppi ogni due anni, l’Osservatorio rileva che la quantità di dati realmente analizzati all’interno dei sistemi di analytics risulta in decrescita rispetto al 2014 (dal 47% al 44%), a dimostrazione che le aziende hanno una crescente difficoltà a governare (e quindi poi a far fruttare) un contesto sempre più complesso dove alla quantità non sempre corrisponde qualità (rimandiamo a questo proposito alla lettura dell’articolo di pag. 64) e sembra mancare un framework di riferimento per sfruttare adeguatamente le opportunità offerte dai big data.


Big Data journey

Figura 4 – La maturità delle aziende italiane – fonte: Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, 2015

Il lavoro di analisi dell’Osservatorio si compendia infine con un modello di maturità verso la Big Data Enterprise, chiamato Big Data Journey, con il quale i ricercatori del Politecnico definiscono il percorso evolutivo delle aziende che parte da un approccio tradizionale di analisi fino alla completa integrazione dei big data. Il modello, nei cui diversi step la figura 4 rappresenta dove si collocano le aziende della survey, indaga quattro dimensioni:

  • strategia: l’approccio dell’organizzazione alla gestione degli Analytics in termini di piano strategico e budget dedicato;
  • modalità di gestione dei dati: la modalità con cui i dati vengono immagazzinati nei sistemi aziendali e vengono resi disponibili ai diversi applicativi;
  • competenze e governance: il livello di competenze presenti in azienda e la struttura di governance dei sistemi Analytics;
  • tecnologia: l’approccio tecnologico adottato nella gestione dei big data e nelle analisi che vengono condotte su di essi.

La figura merita sicuramente un’analisi di dettaglio, ma la prima fotografia che emerge è che la dimensione complessivamente più matura è rappresentata dalla gestione, dove il 41% delle aziende è già a metà strada, mentre la dimensione più arretrata è quella delle competenze, dove addirittura nel 20% dei casi non si conoscono nemmeno gli skill necessari alla gestione dei progetti. Sul fronte tecnologia, nonostante da varie indagini ne venga percepita l’efficacia, le tecnologie più avanzate sono introdotte solo dal 13% delle realtà (che, parlando delle aziende top italiane, è una percentuale non rincuorante) e qui sarebbe sicuramente interessante capire quanto questa situazione possa essere determinata dalle preoccupazioni relative all’integrazione di sistemi complessi e al timore di creare ulteriori silos. Infine la strategia e in questo caso, come spesso capita, si lancia il cuore oltre l’ostacolo (a fronte della dichiarata priorità di questi temi, non corrisponde un’azione adeguata): sebbene per un 24% delle organizzazioni esista un piano pluriennale e un budget definito per la gestione dei big data, solo il 16% ha infatti formalizzato un piano annuale con linee guida e priorità; prevalgono invece situazioni dove vi sono approcci di tipo bottom-up focalizzati in alcune linee di business (27%) o dove addirittura le opportunità offerte dai Big Data Analytics non sono ancora comprese (33%) e non esiste un piano condiviso e definito.

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