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Cognitive systems e cloud, i pilastri del nuovo business

Il cloud ibrido come elemento abilitante e vitale del business della nuova era che ha nei sistemi cognitivi il ‘core’. Ginni Rometty, Ceo di Ibm, spiega quali sono i fondamentali della piattaforma del nuovo business: ‘enterprise strong’, ‘data first’, ‘cognitive at the core’

Pubblicato il 22 Mar 2017

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LAS VEGAS – Si consuma all’interno di un altro evento l’inizio della seconda giornata di Amplify 2017, la convention che IBM dedica a clienti e partner per conoscere Watson Customer Engagement, precisamente l’Ibm Interconnect 2017, evento che si tiene in contemporanea qui a Las Vegas il cui tema di fondo è il cloud. Il perché della contemporaneità delle due kermesse e del mix degli interventi lo spiega la numero uno dell’azienda (nella foto), Ginni Rometty, Chairman, Presidente e Ceo di IBM: “Cognitive e cloud non sono due fenomeni separati, sono due facce della stessa moneta; unire le capacità dei sistemi cognitivi con il cloud significa ‘innovare con convinzione’, avere fiducia negli insights e investire con sicurezza cambiando il modo con cui lavoriamo e risolviamo i problemi, modificando così non solo i business model ma anche la società”.

Nella visione di IBM, l’hybrid cloud è la piattaforma su cui si basa il business della nuova era “perché abilita ‘decisioni architetturali’ (alimentate cioè da una serie di servizi digitali) e determina come e quanto ‘corre’ un’azienda sul mercato”, dice in modo chiaro Rometty, sottolineando i tre pilastri attorno ai quali prende forma questa piattaforma del nuovo business:

1) Enterprise strong

Il concetto si riferisce al cloud pubblico che deve essere sì agile, semplice, on-demand, pay-per-use ma al contempo deve essere ‘enterprise strong’, cioè progettato con coerenza e precisione per il mondo delle aziende. “La sicurezza negli ambienti public cloud deve essere superiore a quella dei sistemi on premise”, puntualizza Rometty. “Perché questo sia effettivo noi usiamo Watson come strumento di protezione, un sistema di analisi e monitoraggio costante in grado di apprendere e reagire ai nuovi cyber attack”.

Una soluzione cloud è ‘enterprise strong’ non perché tecnologicamente avanzata ma “perché risolve i problemi reali delle aziende”, specifica Rometty. “Il cloud, in questa accezione, sarà un forte abilitatore di innovazione, per esempio nella blockchain dove avrà – per le transazioni sicure – il ruolo che Internet ha avuto per le informazioni (di raccolta e distribuzione)”.

2) Data first

“I dati sono la prossima risorsa naturale”, prosegue il Ceo, “il valore dei dati stessi e la capacità di estrarre da essi informazioni e insights cambieranno definitivamente il modo di fare business e prendere decisoni”. È sul concetto di valore che Rometty insiste, perché se è vero che oggi sono disponibili tutti i tipi di dati, la loro consistenza e accuratezza diventano indispensabili: “Dati inesatti non hanno alcun valore, anche se sono dati disponibili”. Ecco perché le aziende non possono limitarsi all’acquisizione dei dati ma estendere il focus anche su ciò che è possibile fare con essi, ed è qui che entrano in gioco i sistemi cognitivi.

3) Cognitive at the core

È questo ciò su cui sta puntando tutto la ‘nuova’ Ibm. L’idea di fondo è portare Watson ad essere un consulente di business, “in grado di analizzare i dati in real-time e di fornire conoscenza utile e suggerimenti validi nei processi di decision making nei tempi necessari ai decisori”, evidenzia Rometty.

Possiamo dire senza errare che ‘Watson in cloud’ sia la grande killer application di Ibm. “Il sistema è partito come motore di apprendimento automatico (machine learning) ma è poi evoluto verso una più elevata sofisticazione dell’intelligenza artificiale fino ad arrivare ad essere un sistema cognitivo (cioè che capisce)”, racconta Rometty citando alcuni significativi esempi di come Watson sia abile in tutti i cinque sensi umani:

  • riconoscimento delle immagini con una percentuale di errore inferiore al 5%, “meglio di qualsiasi altro sistema di intelligenza artificiale”, sono le parole del Ceo;
  • “nel riconoscimento vocale Watson ha un tasso di errore del 5,5%, quello umano è del 5%”;
  • “Watson può leggere in 12 lingue, che equivale a dire il 90% della popolazione Internet”;
  • “le abilità di Watson stanno progressivamente crescendo anche sul fronte del riconoscimento dei movimenti” (applicabile per esempio nell’analisi dei video);
  • uno degli aspetti più importanti di Watson è la ‘padronanza dei domini’: “Formato da esperti, Watson è in grado di capire l’80% dei dati non accessibili dai motori di ricerca”, conclude Rometty.

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