Intervista

Stefano Micelli, Università Ca’Foscari: Manifattura 4.0, ibridazione tra cultura artigianale e digital

Una conversazione con Stefano Micelli, docente di International management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha aiutato ZeroUno a delineare le caratteristiche di una rivoluzione digitale nel manifatturiero che tenga conto della realtà produttiva e culturale italiana e includa non solo le imprese medio grandi, ma anche le realtà artigiane e le imprese manifatturiere create dai nativi digitali.

Pubblicato il 14 Lug 2017

Micelli12

La conversazione parte con una premessa sulla rivoluzione digitale che chiamiamo industria 4.0 e che investe i processi e le macchine, portando qualità e intelligenza all’interno dei prodotti.

“È una rivoluzione tecnologica che chiude il ciclo precedente della produzione di massa e di un’informatica relegata ai processi amministrativi per aprire a qualcosa di radicalmente nuovo. Ma quando usiamo la parola rivoluzione immaginiamo che si affaccino sul mercato e nella società soggetti nuovi, con nuove competenze, potenzialità e ambizioni, come accaduto in tutte le fasi di grande cambiamento economico e nell’ultima rivoluzione informatica”, sostiene Stefano Micelli, docente di International management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, da sempre osservatore dei modelli produttivi italiani, come testimonia il suo libro “Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani”.

È dunque indispensabile dare spazio a nuovi protagonisti della rivoluzione 4.0, non per benevolenza, ma perché possano portare nuove visioni dell’economia, del lavoro, nuovi modi di concepire il prodotto, gettare le basi per un nuovo modo di pensare la manifattura e il cambiamento.

Era certo importante anche rilanciare gli investimenti, caduti dopo la crisi del 2008 di 20-25 punti (figura), indispensabili per contrastare l’invecchiamento dei macchinari e rivitalizzare i processi.

Il crollo degli investimenti dopo il 2008
Fonte: Banca d’Italia

“Per questo è stato giusto creare un sistema di incentivi che accelerasse l’evoluzione tecnologica delle imprese; e i primi segnali sembrano positivi – ricorda Micelli- Ma le tecnologie generano aumenti di produttività se, e solo se, abbinate a un capitale umano e a competenze al livello della sfida”.

Valorizzare la cultura manifatturiera del made in Italy

Il nuovo strato di competenze digitali deve inevitabilmente farsi carico delle specificità della produzione delle imprese italiane, che negli ultimi anni si sono radicalizzate: “Le nostre imprese hanno abbandonato o contenuto le economie di scala per cimentarsi nella sfida della varietà e della personalizzazione – spiega Micelli – Produciamo per piccoli lotti e, nel caso della meccanica, macchine su misura. Riusciamo a farlo perché possiamo contare su un’idea di lavoro, su un saper fare e su una passione delle persone, su una cultura del lavoro ben fatto, che rappresentano un unicum a livello internazionale”. Si tratta di un modo di pensare la manifattura, basata su varietà e personalizzazione, avendo come riferimento quella matrice artigianale e ci ha resi famosi in settori come l’agroalimentare, la moda, la meccanica strumentale.
Oggi questo modo di produrre deve incontrare il digitale, una saldatura non scontata, che deve puntare all’ibridazione fra due mondi ancora distinti.

Quali formazione e competenze per la rivoluzione 4.0

La formazione è l’elemento abilitante per l’affermarsi della manifattura 4.0 con le caratteristiche fin qui indicate. “C’è molto dibattito sui competence center, legati all’università e alla ricerca; se crediamo alla parola rivoluzione non possiamo limitarci a pochi centri di eccellenza, ma dobbiamo puntare alla diffusione del modello 4.0 su una larghissima fascia di imprese – aggiunge Micelli – Per questo servono giovani che facciano un percorso nella cultura tecnica, ma con una didattica coerente con le sfide alle quali le imprese sono chiamate, che non può essere certo la didattica della scuola professionale di trent’anni fa”.

Gli esempi a portata di mano sono le esperienze di alcuni ITS, il biennio di formazione terziaria ma non accademica, nato su esempio della formazione tecnica tedesca che là coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi. In Italia sarebbe necessario moltiplicare almeno per dieci il numero degli attuali iscritti per raggiungere i 60-70mila, un obiettivo contenuto anche nel piano Calenda.

Presso gli ITS i ragazzi lavorano gomito a gomito con le imprese, come sottolinea Micelli ricordando i casi dell’ITS Mita di Firenze dove i ragazzi collaborano con maestri pellettieri con anni di esperienza o quelli dell’ITS di Parma dove gli studenti hanno sviluppato un volante innovativo per un’auto da competizione grazie al suggerimento del leader internazionale del settore racing, Dallara. Gli studenti dell’ITS Cerletti di Conegliano Veneto stanno invece mettendo a punto un’app per l’uso dei pesticidi sulla base delle indicazioni provenienti da droni e big data.

“Serve un contenuto didattico nuovo per creare e inventare un mondo nuovo e formare ragazzi che entrino nelle imprese non per affiancare qualcuno che sa già cosa fare, ma per innovare insieme in un processo di ibridazione fra cultura del fare e cultura digitale”, precisa Micelli.

I protagonisti della rivoluzione manifatturiera

“Tutti sono chiamati al ripensamento delle attività: sia le grandi imprese, sia due mondi, meno enfatizzati ma indispensabili, come le PMI artigiane e i giovani che ibridano la cultura del making e quella del design”, sottolinea Micelli.

Le prime sanno bene che devono fare upgrade digitalizzandosi e investendo, se vogliono restare sui mercati internazionali dove spesso sono già presenti. Vanno aiutate come già il programma Industria 4.0 prevede.
Le PMI di matrice artigiana devono invece riuscire a mettere insieme cultura digitale e cultura del saper fare, modernizzandosi ma rispettando la tradizione che i potenziali compratori si aspettano. Un esempio di questo tentativo è il progetto di Banca Ifis Impresa (www.botteghedigitali.it ), un esperimento di manifattura 4.0, partito nel 2016 con il supporto di quattro imprese artigiane, selezionate fra molte, nel ripensamento del proprio business in chiave digitale e in una logica globale. L’obiettivo è crescere attraverso la digitalizzazione anche grazie ad una migliore risposta al mercato. Alle imprese viene messo a disposizione un team di esperti che, dopo una fase di assessment, le guidano nella definizione del business plan, nell’analisi e re-design del prodotto, nell’intervento sugli spazi di lavoro, nella ridefinizione della presenza digitale e sui social. Il progetto prosegue nel 2017 con altre dieci imprese artigiane e Pmi.
Più problematico risulta il supporto ai giovani nativi digitali auto-produttori o produttori di nicchia, giovani creativi che hanno messo insieme competenze diverse (per produrre oggetti di design, come scarpe, occhiali, biciclette, strumenti musicali…) e hanno intrapreso percorsi nuovi, mescolando spirito e intraprendenza tipici dei maker con la cultura del design, recuperando la grande tradizione manifatturiera italiana.” Come aiutarli a crescere con programmi finanziari, tecnologici e culturali? – si chiede Micelli – Il titolo Industria 4.0 del piano del governo non ha aiutato, visto che sembra focalizzarsi soprattutto sul mondo delle imprese – commenta Micelli – Sarebbe stato preferibile il titolo più inclusivo come Manifattura 4.0”.

Forse non a caso si chiama Manifattura Milano il programma lanciato ad aprile dal Comune del capoluogo lombardo, che sfrutta sia le opportunità offerte dal piano Industria 4.0, sia i finanziamenti europei e regionali, investendo in proprio 10 milioni di euro, ma che soprattutto svolge un ruolo di coordinamento orientato a una nuova visione di città.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati