Smart working: il percorso è tracciato dalla domanda

Il modello dello smart working si sta diffondendo: la spinta arriva dai dipendenti, per avere un migliore equilibrio tra sfera privata e lavorativa. E dal management, quando riconosce gli impatti positivi che una maggiore responsabilizzazione dei dipendenti rispetto alla propria attività lavorativa può avere in termini di produttività. Le soluzioni tecnologiche per supportare la trasformazione non mancano, ma per gestire il legacy culturale e tecnologico è necessario muoversi in modo strategico, individuare le priorità e ascoltare con attenzione cosa chiedono gli utenti

Pubblicato il 14 Dic 2015

La digital transformation ha generato una rivoluzione sociale e di business: da un lato, ha cambiato il nostro modo di relazionarci, di fare acquisti, di vivere la nostra quotidianità; dall’altro, ha ridefinito i mercati, i modelli organizzativi delle aziende e il concetto stesso di lavoro, aprendo le porte a quello che oggi definiamo smart working. In collaborazione con Samsung Business e Digital4Executive, ZeroUno ha organizzato un percorso di eventi – quattro in totale, di cui tre già svolti – intitolato “Verso il Connected Workplace”, per indagare il fenomeno e capire come le imprese stanno reagendo alla trasformazione in atto.

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“La mobility, cardine attorno a cui si muove questa rivoluzione, sta favorendo il consolidarsi di nuovi paradigmi” ha detto Patrizia Fabbri, caporedattore di ZeroUno, moderatrice durante la tappa di Padova e l’incontro organizzato a Milano-Expo. “Gli spazi e i tempi di lavoro non sono più codificati e si tende a cercare un nuovo bilanciamento tra sfera pubblica e privata”. A testimoniare l’imporsi della mobilità e di questi nuovi modelli, giungono i dati delle ricerche del Politecnico di Milano: oggi gli italiani connessi a Internet ogni giorno da smartphone o tablet sono 17 milioni e il tempo medio di navigazione giornaliero da mobile ammonta a 1 ora e 44 minuti.

MILANO – Alla Tavola Rotonda, moderata da Patrizia Fabbri (a destra, Caporedattore di ZeroUno, hanno partecipato (da sinistra a destra): Filippo Maria Renga, Co-Fondatore degli Osservatori Digital Innovation e Coordinatore degli Osservatori Mobile della School of Management del Politecnico di Milano, Antonio Bosio, Product & Solutions Director Samsung, e Angelo Quintini, Direttore Commerciale Valore BF

Come hanno spiegato Filippo Maria Renga, Co-fondatore degli Osservatori Digital Innovation e Coordinatore degli Osservatori Mobile della School of Management del Politecnico di Milano e Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Mobile Enterprise dello stesso Politecnico, gli utenti sono sempre più esperti nell’utilizzo dei propri dispositivi e delle applicazioni mobili, e chiedono di avere a disposizione lo stesso tipo di strumenti anche in ambito lavorativo: “Il numero dei potenziali utenti business è alto: il 56% di tutta la forza lavoro del nostro paese ha esigenze di mobilità”, dice Renga; il recupero medio di produttività che i mobile worker potrebbero produrre in un anno – attraverso soluzioni tecnologiche correttamente applicate ai processi di lavoro specifici dei diversi settori – è di 10 miliardi di euro.

PADOVA – Alla Tavola Rotonda, moderata da Patrizia Fabbri (a destra), hanno partecipato (da sinistra a destra): Giuseppe Martorana, Printing Pre Sales Specialist, Samsung, Filippo Maria Renga, e Paolo Vezzosi, Program Supervisor Samsung

Come spiega l’analista, in questa transizione verso la mobilità, l’Italia non ha affatto un ruolo di rincorsa rispetto agli altri paesi Europei: nelle imprese grandi e medio-grandi, il livello di adozione dei device mobili è già alto (il 91 e 66% hanno introdotto l’utilizzo rispettivamente di smartphone e tablet), così come quello delle mobile biz-app (nel 51% delle aziende sono già presenti e nel 70% dei casi sono abbinate all’utilizzo di un enterprise application store per gestire governance e sicurezza). Tuttavia, riguardo a queste ultime, come dice Renga, “esiste ancora un impatto potenziale significativo da concretizzare, perché spesso le biz-app vengono introdotte con modalità scorrette nel contesto aziendale” e per quanto riguarda le Pmi, seppur non manchino casi “illuminati” dove la mobilità ha trovato straordinarie applicazioni, il percorso è più lento, soprattutto a causa di una resistenza al cambiamento di natura culturale: c’è dunque ancora molta strada da fare.

ROMA – Alla Tavola Rotonda, moderata da Stefano Uberti Foppa (a destra), direttore di ZeroUno, hanno partecipato (da sinistra a destra): Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Mobile Enterprise della School of Management del Politecnico di Milano, Giuseppe Martorana e Mauro Maconi, Technical Supervisor Samsung

Di seguito le principali riflessioni emerse durante le Tavole Rotonde degli eventi di Padova, Roma e Milano.

Tre parole d’ordine: personalizzare, semplificare, selezionare

Sul piano strategico, è fondamentale non dimenticare tre linee guida:

1)Personalizzare la soluzione: come hanno sottolineato soprattutto gli ospiti dell’evento di Padova, le soluzioni vanno adeguate alle peculiarità del settore a cui l’azienda appartiene e ai processi della singola realtà. È importante muoversi in modo deciso in questo senso e far sì che da subito vengano recepiti dagli utenti i vantaggi derivati dagli strumenti implementati. Si deve evitare che accada, spiega Renga, quello che è successo nel mondo della Sanità, dove “gli impatti di una mobilizzazione dei processi era estremamente elevata, ma nella fase iniziale d’adozione della cartella clinica elettronica, la reazione di rifiuto dei medici ha portato a non incamerare i benefici attesi”: la costruzione di una soluzione meglio riformulata pensando alle esigenze del settore, e lo sviluppo di interfacce più efficaci, hanno reso in un secondo momento i medici, al contrario, promotori della trasformazione.

2) Semplificare gli strumenti: l’adozione da parte degli utenti è spesso legata alla semplicità con cui è possibile accedere alle funzionalità a disposizione; il mondo consumer ha “viziato” gli utenti con strumenti molto intuitivi: si deve quindi evitare che vi sia un gap tra l’experience vissuta fuori e dentro l’azienda. A volte bastano errori in semplici elementi di progettazione a compromettere l’adozione della soluzione.

3) Selezionare le funzionalità: è sempre in nome dell’usabilità che si deve evitare di caricare ciascuna applicazione di tante funzionalità: “Concentrarsi su poche cose che servono – dice Valsecchi – L’app deve rispondere solo alle precise necessità che ciascun utente ha nel suo contesto”.

I partecipanti alla tappa di Padova

Agire in modo mirato… ma seguendo un disegno complessivo

Come è possibile impostare correttamente questo cambiamento?
Una premessa necessaria a mobilità e lavoro smart è la digitalizzazione dei sistemi informativi [da intendersi come insieme delle informazioni prodotte, utilizzate e condivise da un’impresa durante l’esecuzione dei processi aziendali e dalle procedure con cui queste sono gestite – ndr]: “Si può pensare che un sistema informativo sia digitale per definizione – dice Renga – Non è così, perché le informazioni spesso in azienda sono virtualizzate solo in parte e per ottenere la produttività che lo smart working dovrebbe produrre, questa digitalizzazione è invece necessaria”. A livello di approccio allo sviluppo del prodotto, è invece raccomandabile, come ricordano gli ospiti, procedere realizzando tanti progetti pilota e mettere a disposizione degli utenti un alto numero di prototipi della soluzione: questo permette di avere costantemente un riscontro dai lavoratori e quindi consente di fare pronostici sul possibile grado di adozione. Come ha suggerito Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, moderatore all’evento di Roma, “è anche fondamentale capire quali sono le priorità dell’azienda e cominciare dunque dai processi che, trasformati, possono avere un impatto sulla produttività maggiore, ma evitare di muoversi in modo frammentato: ogni azione va inserita all’interno di un disegno strategico complessivo che è necessario sempre tenere ben presente”.

I partecipanti alla tappa di Milano

Sulla stessa linea Antonio Bosio, Product and Solutions Director di Samsung, ospite alla tappa di Milano-Expo: “È utile avere un approccio sistemico: le architetture tecnologiche sono spesso stratificate; nel tempo si sono aggiunti moduli e componenti per rispondere di volta in volta a esigenze specifiche. È ora il momento di cambiare approccio: dobbiamo capire le esigenze che avremo già nel prossimo futuro e pianificare le attività di conseguenza: non basta aggiungere tecnologia sui processi esistenti; dobbiamo, grazie alle abilitazioni che la tecnologie introduce, ripensare i processi stessi”, spiega il manager, che invita poi a riflettere su quanto costi, nell’attuale scenario fortemente competitivo, il non intraprendere un simile percorso e dunque non approfittare di opportunità che altri invece sfrutteranno.

I partecipanti alla tappa di Roma

Gli ospiti romani hanno infine insistito sulla necessità di esaminare bene la domanda degli utenti e le loro esigenze, quindi intervenire in modo mirato sulle funzioni che possono essere usate in mobilità, e che è utile per il dipendente e produttivo per l’azienda che siano disponibili in questa modalità; esistono web application che è più indicato mantenere fruibili solo in ufficio: laddove non c’è un vantaggio tangibile, non ha senso forzare una trasformazione.

Gestire il legacy tecnologico: servono partner giusti e competenze verticali e di integrazione

Le soluzioni tecnologiche per favorire la mobilità sono ormai mature e il problema è piuttosto trovarsi di fronte all’“imbarazzo della scelta”: bisogna saper distinguere, nella vastità dell’offerta, qual è lo strumento più adatto e adattabile alla singola realtà aziendale. Ciò che maggiormente frena la trasformazione, soprattutto nelle aziende più strutturate e con una storia importante alle spalle, è piuttosto il legacy, e lo studio di come creare gli interconnettori e il middleware perché le nuove tecnologie vengano integrate con dati e infrastrutture pre-esistenti. Poiché non sempre è facile trovare in azienda tutte le competenze necessarie, è molto importante curare la scelta dei partner tecnologici: da un lato è stata sottolineata l’importanza di scegliere realtà con competenze specifiche: “Se prima l’approccio alla mobility era un po’ artigianale, adesso sta diventando veramente scientifico”, dice Renga, che poi aggiunge: “Il problema è che oggi ‘un’applicazione non la si nega a nessuno’: tutti sono in grado di produrre biz-app, ma pochi hanno davvero le competenze per fornire soluzioni in grado di applicarsi al processo in modo ottimale migliorando effettivamente le performance aziendali”. Parallelamente a questa competenza verticale, è necessario però, riflessione emersa durante la tappa di Milano-Expo, essere anche preparati in modo “orizzontale”: a volte, spinti del fenomeno della consumerizzazione, gli strumenti entrano in azienda in modo spontaneo; in altri casi, per risolvere un’esigenza specifica, vengono create una serie di soluzioni ad hoc senza che vi sia alla base un disegno strategico di riferimento: il rischio è trovarsi di fronte un panorama frammentato, fatto di tanti strumenti fini a se stessi, poco integrati tra loro e con il legacy, e dunque non efficienti in modo ottimale. Il partner deve dunque essere anche un soggetto in grado di governare tutti gli elementi di digitalizzazione e lavorare per renderli un unico sistema; non si tratta solo, tecnicamente, di integrare le soluzioni, ma di farlo indirizzando le proprie scelte in dipendenza dell’obiettivo finale: creare un ambiente idoneo allo sviluppo dello smart working. In questo senso sono quindi utili anche figure più ibride sul piano degli skill, che siano in grado di connettere vari ambiti di competenza.

A livello tecnologico, è stato infine ricordato il tema critico e centrale nello sviluppo dello Smart working, della sicurezza, che in campo mobility si acuisce se si pensa al fenomeno del Byod e alla coesistenza su un unico dispositivo di applicazioni personali e business. Come hanno ricordato gli analisti del Politecnico di Milano, per fare in modo che i rischi si abbassino a livelli gestibili, è necessario non sottovalutare il problema, dotarsi delle giuste tecnologie, e, ultimo ma non meno importante, educare gli utenti, la cui scarsa consapevolezza dei rischi, rappresenta sempre il primo “tallone d’Achille” delle imprese.

Valore Bf: total office partner

Angelo Quintini, Direttore Commerciale, Valore BF

Ospite all’evento di Milano-Expo Valore Bf, partner Samsung specializzato in soluzioni Ict, che si propone ai clienti come “Total Office Provider”, ovvero interlocutore unico per l’intero percorso di digitalizzazione nelle soluzioni di ufficio: “Dobbiamo oggi muoverci in un contesto di rapida evoluzione, caratterizzato da una forte accelerazione di novità e da elementi, concetti e strumenti propri di questa stessa evoluzione che entrano nelle aziende in modo ‘istintivo’, spesso indipendentemente dalla volontà dell’It”, dice Angelo Quintini, Direttore Commerciale di Valore Bf, riferendosi al fenomeno del Byod e della consumerizzazione. Il rischio, secondo il manager, è che si accumulino tante soluzioni non integrate, e dunque poco efficienti: per questo, secondo Quintini, il partner che segue l’azienda di piccole e medie dimensioni nel processo di trasformazione deve essere unico, e, oggi più che mai, deve orchestrare le proprie azioni facendo propri il percorso di digitalizzazione del cliente nel suo complesso e i suoi obiettivi di business. Il lavoro “smart” va inteso in questo senso come una fondamentale leva competitiva e aggiunge: “È necessario ideare nuovi indicatori per controllare che vi sia un buon rapporto tra vita professionale e personale. Sono convinto che chi lavorerà sulla soddisfazione delle persone, incentivando collaborazione e responsabilizzazione, potrà godere di un notevole vantaggio competitivo”.

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