Software defined data center, ecco come il software guida la trasformazione It

La pervasiva digitalizzazione del business spinge le aziende a ragionare verso una più efficace ed intelligente gestione ‘business-driven’ dell’infrastruttura Ict. La risposta risiede nel software, ma per governare tutte le risorse It in modo virtualizzato è necessario intraprendere percorsi di semplificazione e flessibilizzazione dei sistemi

Pubblicato il 05 Gen 2016

All’interno del grande filone dell’evoluzione dei sistemi informativi verso una loro migliore capacità di risposta a complessità crescenti e variabili competitive di business sempre più ‘imprevedibili’, si colloca senza dubbio la trasformazione dei data center aziendali: pur tra mille difficoltà inerenti la ‘rigidità’ dei sistemi legacy e la laboriosità dei progetti di integrazione ed evoluzione verso modelli di It agile e flessibile, è ormai percepibile quel ‘vento di cambiamento’ che spinge gran parte delle aziende oggi a ragionare su approcci strategici orientati alla gestione intelligente e business-driven delle proprie infrastrutture Ict, ossia abilitata dal software (Sddc – Software Defined Data Center).

a sinistra Massimo Ficagna, Senior Advisor dell’Osservatorio Cloud e Ict as a service della School of Management del Politecnico di Milano, a destra Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno

“Il tema risulta indubbiamente centrale rispetto alla teorizzazione del modello bimodale di Gartner il quale offre l’indicazione delle due direttrici sulle quali si muove oggi l’It aziendale”, sottolinea Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, aprendo i lavori del primo Web Talk dedicato al tema Sddc [parte di un più ampio progetto editoriale dedicato al tema della ‘Data Center Transformation’ che, nelle prossime settimane, toccherà, attraverso WebTalk e webinar di approfondimento tecnologico, anche i temi Dcim – Data Center Infrastructure Management e hybrid cloud e si concluderà con un convegno all’interno del quale troveranno spazio diversi casi aziendali – ndr]. “Da un lato, l’It deve evolvere sulla direttrice infrastrutturale, ossia ragionando in termini prestazionali e di governance dei sistemi rispondendo alle richieste di agilità e flessibilità del business; dall’altro, l’It dev’essere ‘contaminato’ dal business anche nella sua direttrice di carattere più organizzativo affinché possa realmente proporre con rapidità soluzioni e servizi (dal Crm agli Analytics e via dicendo) di valore per il business”.

Con questo nuovo progetto editoriale intendiamo innanzitutto analizzare e offrire alcuni spunti sull’evoluzione It lungo la prima direttrice, quella infrastrutturale, a partire dal data center aziendale e dalla sua trasformazione verso il modello ibrido a cui si sta tendendo, proprio in funzione di una maggiore flessibilità e dinamicità nella gestione dei workload e dei servizi It che può trovare risposta nell’approccio software defined.

Software defined data center per digitalizzare il business

La digitalizzazione sta arrivando in ogni settore e filiera produttiva e al di là dei grandi nomi oggi testimoni della dirompenza attraverso la quale si riescono a scardinare modelli competitivi consolidati (Uber, AirBnb, Facebook, YouTube, Alibaba…), “è evidente che tutte le aziende debbano introdurre elementi di digitalizzazione più o meno rilevanti, più o meno rivoluzionari per riuscire a competere in nuovi mercati e ‘contro’ nuove forze, e lo devono fare velocemente e in modo agile”, osserva Massimo Ficagna, senior advisor dell’Osservatorio Cloud e Ict as a service della School of Management del Politecnico di Milano. “Spesso non si ha la ‘formula vincente’ per riuscire in quest’impresa; non si può disegnare un modello di business sulla carta e poi metterlo in atto nella convinzione che funzioni. Oggi ci si muove con un approccio sempre più simile a quello delle startup: si prova, si sperimenta, si verifica come va, si misura e poi si prosegue, eventualmente ‘cambiando rotta’. Per riuscire in ciò è fondamentale riuscire ad essere agili, condizione oggi irraggiungibile senza l’apporto dell’It… a condizione che l’It stesso sia agile”.

Figura 1 – Modello di Software Defined Data Center. Fonte: Osservatori Digital Innovation, School of Management – Politecnico di Milano

Per riuscire in ciò, come abbiamo anticipato, è fondamentale riuscire a far evolvere l’anima infrastrutturale dell’It sia a livello di sistemi server e computazionali, sia sul piano dello storage e del networking attraverso percorsi che passano dal consolidamento alla virtualizzazione, per proseguire poi verso l’aumento dei livelli di automazione, l’implementazione di ambienti cloud via via più estesi e modellati in un mix di risorse on-premise (private cloud) ed esterne (public cloud).
“Il percorso è sicuramente iniziato da tempo – osserva Ficagna -, dapprima con la virtualizzazione dei server e dello storage per poi passare alla gestione intelligente di pool di risorse, comprese quelle delle reti virtualizzate. Ebbene, il modello Sddc estende concetti di virtualizzazione (astrazione, raggruppamento in pool e automazione) a tutte le risorse e i servizi del data center. Un ambiente Sddc semplifica e accelera in modo drastico i processi di provisioning iniziale e la gestione ordinaria delle risorse di rete, storage ed elaborazione completamente virtualizzate, applicando potenti procedure di automazione basate su policy”.
Di fatto, un data center gestito, controllato, misurato attraverso il software abilita processi agili sul fronte del provisioning delle risorse (nonché del loro controllo e gestione) consentendo in teoria all’It di ‘programmare’ l’intero data center (come se fosse un’applicazione) in funzione delle necessità del business (per certi tipi di workload anche attivando meccanismi di bilanciamento automatico in real-time delle risorse It).
“Il modello Sddc non solo permette di rendere flessibile il data center interno dell’azienda – prosegue Ficagna – ma rappresenta anche l’elemento in grado di abilitare un sistema informativo ibrido, ossia quella ‘cloud enabling infrastructure’ che permette di unire il mondo del data center aziendale con altri mondi esterni”.
È indubbio che semplificazione della gestione infrastrutturale, aumento dell’efficienza e velocità di provisioning e conseguente capacità di risposta all’utente (leggi agilità) rappresentino i driver primari che spingono oggi l’It a muoversi verso modelli Sddc, “ma le sfide da superare sono ancora molteplici – descrive Ficagna -, a partire dalle problematiche di standardizzazione (non solo dei sistemi ma anche delle procedure) e dalla difficoltà di riuscire ad avere una visione architetturale dell’infrastruttura It (ossia di avere una chiara visione d’insieme), cui si aggiungono anche criticità sul fronte degli oneri degli interventi e, non da ultimo, sul piano delle competenze necessarie a guidare, governare e attuare tali cambiamenti”.

Business continuity… nella digitalizzazione

Nadia Bertone, Ict Security, System & NetworkManager, BRT Corriere Espresso

Una testimonianza diretta di quanto sia complesso, ma possibile, intraprendere percorsi evolutivi di questo tipo arriva da Nadia Bertone, Ict Security, System & Network manager presso Brt Corriere Espresso, azienda nata nel 1928 come corriere per le consegne regionali, oggi realtà nazionale che conta 178 filiali, 12 impianti di logistica, 3500 dipendenti e un ecosistema di partner dato da oltre 12mila persone (autotrasportatori, cooperative di facchinaggio, ecc.). “L’automazione dei processi ha da sempre rappresentato il pilastro portante degli interventi It nella nostra realtà aziendale perché è il primo degli elementi attraverso il quale si concretizza la flessibilizzazione del business”, racconta Bertone. “Tutte le comunicazioni e gli scambi con i clienti, i partner e i fornitori transitano da canali digitali: se questi non funzionano al meglio, tutta l’operatività del business si blocca”.

È facile intuire dunque che il tema della Business Continuity sia molto sensibile in Brt e rappresenti, come sottolineato dalla manager stessa, “il driver primario dell’evoluzione tecnologica continua, attuabile però solo se alla base vi è un percorso di semplificazione architetturale, che per noi si è concretizzato attraverso scelte di virtualizzazione storage, server e, oggi, anche network, indispensabili a garantire flessibilità nell’erogazione dei servizi e nei tempi di risposta, nonché nel miglioramento dei processi (It, ma anche operativi di business)”.

In Brt il percorso verso un modello Sddc sta proseguendo sul piano del cloud, sempre in un’ottica di Business Continuity, con l’obiettivo di rendere più agili sia la gestione delle risorse It, da un lato, sia l’erogazione del servizio all’utente, dall’altro. “Ad oggi, però, solo un 10% delle applicazioni (e per lo più quelle non mission-critical) è ospitata in cloud”, ammette in chiusura Bertone che, in risposta ad alcune curiosità espresse dagli utenti collegati al Web Talk circa le motivazioni di una così bassa percentuale di applicazioni in cloud, risponde: “Il nostro modello evolutivo architetturale è disegnato su un approccio hyperconverged proprio in un’ottica di apertura verso risorse cloud di tipo pubblico, ma prima di integrare servizi provenienti dall’esterno è necessario intervenire su più fronti: sicurezza e networking prima di tutto. Ed è qui che noi stiamo ora rivolgendo gli sforzi”.

Leggi anche gli articoli di resoconto del Tech Webinar Il valore dell’architettura data fabric e del software-defined cloud computing e Converged & Hyperconverged Infrastructure

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